LA LEGGE ELETTORALE
OSTAGGIO DELLE DIATRIBE POLITICHE
Certamente la riforma elettorale
non è fra quelle che avranno un impatto diretto sull’economia e con i problemi
legati alla soluzione della disoccupazione, ma essa ha un impatto importante in
merito alla credibilità nazionale sulla capacità di portare a compimento il
capitolo importante delle riforme.
In questa funzione, sapere che
viene colmata la vacatio legislativa in merito alla elezione degli organismi
elettivi e di Governo, nonché della possibile individuazione degli
interlocutori politici che l’Italia proporrà nel contesto internazionale,
agevola la fiducia sull’economia interna e, soprattutto, sugli investitori
internazionali che sono la più importante linfa economica per riprendere la
strada dello sviluppo.
Come tutte le nostre cose, anche
questa importante riforma, è rientrata nel contesto delle beghe fra partiti ed
all’interno degli stessi nelle battaglie per le varie leadership.
La gestazione della proposta di
riforma della legge elettorale, a seguito della nota sentenza della Corte
Costituzionale, è stata lunga e travagliata, ma ha presentato aspetti anche
chiari nell’iter percorso.
Innanzitutto essa, nella
formulazione approvata dal Senato e in discussione alla Camera, ha risposto
alla esigenza politica di essere il frutto di convergenze più ampie possibili
perché le regole vanno scritte e condivise per essere riconosciute da tutti
coloro che danno la loro disponibilità alla stesura.
Questa proposta è il frutto
dell’accordo passato alla cronaca politica con il nome del Nazareno fra la
maggioranza di Governo e l’opposizione berlusconiana. E’ stata ulteriormente
modificata per esigenze di rapporti interni al partito democratico e
riapprovata da coloro che l’avevano elaborata nella prima fase.
Sono però, in corso d’opera,
cambiate le condizioni politiche relative agli interessi di partiti e gruppi
per cui ciascuno degli inseminatori artificiali dell’embrione elettorale
vorrebbe che abortisse subito per essere liberi di intraprendere nuove e diverse
relazioni amorose.
Forza Italia, scioccata dal
rapido declino dei consensi, lacerata da una forte diatriba interna sulla
spartizione dei resti testamentali e accerchiata dall’alleato storico che è la
Lega in fase crescente, si sente sempre più subalterna ed incapace di mostrare
la spavalderia berlusconiana che è stata la base dei consensi adesso perduti.
Ecco perché cerca di svincolarsi
dai rapporti avuti con l’attuale Governo renziano e dell’assenso alla legge
elettorale che, pur avendola elaborata e condivisa in precedenza, può
rappresentare lo strumento della disfatta, nelle condizioni attuali, del
partito in quanto potrebbe avvicinare la data di svolgimento delle elezioni
politiche e quindi della debauche accertata.
Berlusconi quindi è disposto,
ancora una volta, a rimangiarsi quanto detto e sottoscritto perché spera, in
assenza dello strumento elettorale adatto, che si possa allungare la data delle
elezioni ed avere tempo per riorganizzarsi.
L’avversità alla riforma
elettorale ha quindi, come sempre, una motivazione di convenienza politica
personale e di Movimento che prescinde dalla stesura e dai contenuti della
legge stessa.
Una situazione quasi speculare
avviene all’interno del partito democratico dove il vecchio gruppo dirigente ha
preso coscienza che è fortemente mutato il rapporto di forza interno, ma anche
il contenuto culturale del partito e la relativa proposta politica.
Sul piano dei rapporti interni la
presenza di Renzi, vincitore in fase congressuale, ha portato ad una
emarginazione della vecchia classe dirigente che non si traduce solo in termini
di poca incidenza nelle scelte di gestione del partito, ma soprattutto nella
individuazione delle linee guida dell’azione di Governo che si discostano
marcatamente dalla vecchia concezione dei duri e puri di estrazione comunista e
dalla storicizzata idea che, in quanto tali, avessero sempre ragione.
Se a questo aggiungiamo che il
segretario del partito, Renzi, non rappresenta per niente l’anima ideologica e
schematizzata della sinistra storica, ma è sempre più espressione degli altri
soci costituenti del partito democratico che sono di estrazione popolare e
democristiana se ne deduce che la battaglia non è sulla bontà delle norme
elettorali, ma sulla predominanza culturale nella gestione del partito e del
Governo.
Tutto ciò è già sufficiente ad
intraprendere la battaglia anti renziana senza scomodare il più prosaico motivo
che è quello della sopravvivenza personale di tanti politici di lunga carriera
che pensano di essere veramente rottamati e non candidati alle prossime
elezioni politiche.
Quindi la necessità tutta
berlusconiana di non approvare la legge elettorale per evitare le elezioni
politiche a breve scadenza si sposa con gli interessi interni ai gruppi del
partito democratico che intendono allungare la loro vita politica avendo il
tempo di organizzare le difese passando attraverso lo stop alla legge
elettorale che anche loro hanno concorso a stilarla nella stesura attuale.
Tutti questi interessi personali
e di gruppo prescindono dalla sostanza della legge stessa in quanto rappresenta
solo uno strumento individuato come campo di battaglia per una guerra che ha
radici in campi diversi.
Se si potesse avere la
possibilità di discutere con serenità ed obiettività della normativa elettorale
e delle finalità istituzionali che essa permette o meno di raggiungere si
farebbe cosa utile al Paese ed accenderebbe una seria discussione sul merito
della legge stessa che presenta lacune evidenti assieme a proposte serie ed
obiettivi condivisibili.
Pippo Bufardeci
20/04/2015