Vi sono dei personaggi che, nella loro vita, svolgono un lavoro che potremmo definire “ di nicchia “ e trascorrono un tempo quasi sempre uguale venendo considerati spesso, dai loro contemporanei, in modi diversi e contraddittori.
Quasi sempre non sono capiti.
Però la loro morte, mentre li chiude per sempre nel buio di una bara, quasi per miracolo, li rende visibili ai più e lentamente li fa apprezzare anche da coloro che in vita li avevano trattato con sufficienza rendendo, ogni giorno di più, illuminante la loro presenza terrena.
E’ il caso di Maruzza Fidilio o Filurìu ,come la chiamavano tutti a Pachino, o semplicemente Maruzza.
Una donna, analfabeta e di umili origini che, vivendo una propria fede primitiva ed empirica, fra l’indifferenza e la non sopportazione degli uomini di Chiesa e la benevolenza a volte quasi ilare dei propri concittadini, riusciva a concretizzare un percorso di fede fatto di ascetismo, carità ed amore verso il prossimo.
Passava per le strade di Pachino sul dorso di un mulo con i viertuli a tracollo per ricevere la carità o seduta sul carro carico di carratieddi girando i palmenti nel periodo della vendemmia per raccogliere il mosto che avrebbe poi venduto ed utilizzato il ricavo per i suoi bambini poveri.
In fondo le volevano tutti bene sopratutto i bambini per i quali aveva sempre una parola di conforto e qualche consiglio da dare.
Conosceva tutti i suoi compaesani, la loro appartenenza familiare, i loro bisogni e le loro frustrazioni in un periodo in cui la fame imperava nelle famiglie dei poveri contadini e molti partivano per l’America in cerca di fortuna lasciando i figli e le mogli spesso sole con se stesse e con il loro bisogno di arrangiarsi per vivere.
Maruzza aveva una discrezione assoluta ed un approccio quasi etereo con le persone che la lasciavano fare e spesso, fidandosi di lei, le raccontavano i loro guai, le loro disgrazie, il loro rapporto con una vita che li portava lontani anche dal Dio degli altari.
Quello stesso Dio che poi riconoscevano nel tenue ed amorevole sorriso di Maruzza che faceva capolino fra l’immancabile veletta bianca od azzurra od a volte rossa che le cingeva il capo mentre il corpo era avvolto da lunghe vesti colorate cinte ai fianchi da una lunga corona del rosario coperta, nei giorni di freddo e di vento,da un lungo mantello bianco.
A Pachino non ci sono persone della mia generazione, allora piccoli, che non abbiano avuto un amorevole contatto con Maruzza.
Nel mio girovagare fra i vari asilo del paese, nel tentativo spesso riuscito di non allontanarmi da casa, ho frequentato l’asilo di Maruzza anche se solo per qualche settimana ed ho apprezzato il suo amore e la sua ingenua interpretazione della vita. La stessa ingenuità con la quale chiedeva ed otteneva, nella bottega dei miei genitori, un pugno di caramelle a forma di pesciolini colorati da poter distribuire ai bambini di cui si prendeva cura.
Ma anche quell’amore che, una tarda sera d’estate, mi asciugò le lacrime che abbondavano nei miei occhi di bambino dopo che mi ero perso e non riuscivo a trovare la via di casa e le mani di Maruzza presero le mie per ricondurmi dai miei genitori in ansia.
Maruzza condivideva l’amore della famiglia di umili contadini di inizio novecento con altri dieci fratelli e fin da bambina dimostra un carattere riservato con tendenze pseudo religiose che le avevano fatto echeggiare l’appellativo di matta della famiglia.
Di Lei non si hanno molte notizie sopratutto della prima infanzia, ma attraverso una lettera che fece scrivere per inviarla al duce per perorare la sua volontà di abbracciare i voti ed entrare in un convento.
Secondo quanto esposto in questa lettera Maruzza si sentì chiamare dal Signore, per la prima volta, nell’agosto del 1927. Il Signore della Risuscita era in compagnia di San Corrado e gli manifestò l’intenzione di averla tutta per se.
Una seconda apparizione divina l’ebbe otto mesi dopo in campagna mentre si doleva per i gravi problemi che avevano colpito la propria famiglia.
Le apparve Gesù in compagnia dei dodici apostoli con, in un angolo, la Madonna Addolorata piangente come la stessa Maruzza che manifestò subito la sua stanchezza difronte alle tribulazioni della vita.
Il Signore, secondo il racconto di Maruzza, le ricordò che aveva ancora diciannove anni e le promise che le avrebbe detto qualcosa nel prossimo mese di giugno mentre, benedicendola, la invitava a cantare le sue lodi ed a recitare il credo.
Ritornata a casa Maruzza raccontò tutto, ma non fece altro che confermare nei suoi l’idea della pazzia sopratutto quando espresse la volontà di farsi suora.
La famiglia decise che era venuta l’ora di cercarle un marito e, proprio quando Maruzza stava per cedere alle pressioni dei suoi, le comparve prima il Signore Crocifisso che le predisse sventure senza fine se si sarebbe sposata.
Verso le ventuno della stessa sera, secondo sempre quanto racconta Maruzza al Duce nella lettera fattale recapitare,” scese l’Eterno Padre con il Bambin Gesù e me lo depose sulle braccia “.
Da quel momento inizia per Maruzza la sua continua vita di preghiera assieme al desiderio di entrare in un Convento per servire meglio il Signore.
Questo suo desiderio mai soddisfatto era la motivazione dell’invio della lettera al Duce dopo che, sempre in campagna, lo stesso le era apparso assieme al Signore.
Secondo alcuni documenti il Duce chiese al prefetto ulteriori delucidazioni il quale li chiese al podestà di Pachino che insabbiò tutto.
La lettera portava la data del marzo 1938, XVI anno dell’era fascista e quarto anno dal suo essere diventata orfana.
Maruzza, non potendo esaudire il suo desiderio di vivere la vita conventuale, si dedicò ai bambini poveri di Pachino cercando di dare loro la possibilità di frequentare un’asilo da lei stessa organizzato ed il rapporto di preghiera con il Sacro Cuore di Gesù lo esaudiva all’interno di una specie di cappella privata che aveva addobbato in una stanza adiacente la carrittaria che si affacciava nel cortile della sua abitazione.
La sua vita terrena fu quindi dedicata ai bisognosi del proprio paese nel nome di quel Signore che lei servì con la forza della sua bontà e della sua fede che, indipendentemente dal rapporto diretto con il divino tramite le apparizioni, visse profondamente ed in modo originale ed intimo fino al trenta giugno del 1987 che segnò la data della sua ripartita in cielo.
Adesso nel suo loculo terreno è ricordata dalla scritta “ il suo nome è in benedizione nel cuore di quanti ebbero da Lei un pane, un conforto,un sorriso ed ha trovato un posto stabile e di beatificazione anche nei cuori di quanti, pur non avendola conosciuta, ne ammirano la vita raccontata da chi hanno invece avuto il privilegio di conoscerla nella sua vita terrena .
( Quest'articolo è pubblicato sul numero di dicembre della rivista Archè )