sabato 2 agosto 2008

L'UNICA COSA STABILE E' LO STATUS DI PRECARIO

Anche i precari della nostra città hanno manifestato pubblicamente contro gli emendamenti in finanziaria che frappongono ulteriori ostacoli alla possibilità che si arrivi all’agognato lavoro stabile.
Da parte sua il Governo ha cercato di rettificare e rendere meno traumatico il frettoloso emendamento della maggioranza che ha suscitato tante proteste da parte degli interessati e dei partiti di opposizione.
Sicuramente si arriverà ad una riformulazione meno invasiva rispetto all’emendamento originale, ma resta il focolaio attestante la permanenza, anche se sotto traccia, di un incendio di più vaste proporzioni.
Non vi è dubbio, in premessa, che apportare flessibilità alle norme che regolano il lavoro nel nostro ordinamento è importante perchè in una situazione di economia globale è giusto che le aziende interessate possano usufruire di regole comuni ed essere, per quanto possibile, nelle stesse condizioni di partenza rispetto alle altre.
Naturalmente anche il lavoro flessibile deve avere delle regole che possano permettere un intervento di natura sociale a garanzia del lavoratore che effettua, in tempi più o meno brevi, il passaggio da un lavoro ad un altro e deve essere assicurata tutta la copertura normativa dei lavoratori a tempo indeterminato.
Altro conto è invece il lavoro precario sopratutto nei termini come esso si è configurato negli ultimi decenni nel nostro Paese che si connota come compressione dei diritti dei lavoratori che determina una usura della qualità della vita perchè toglie agli interessati ogni progettualità personale e relazionale.
Non possono accendere un mutuo per comprarsi una propria abitazione, non possono usufruire di servizi soggetti alla stabilità del reddito così come non possono programmare serenamente il proprio bilancio familiare.
Difatti, nel contesto in cui operiamo nella situazione lavorativa italiana il precario non può mettere a frutto il proprio titolo di studio, la propria professionalità, dequalifica il proprio profilo personale e non ha un reddito adeguato all’apporto professionale che da alle aziende che, di contro, aumentano i propri profitti anche grazie allo sfruttamento lavorativo ed intellettivo di questi lavoratori.
Una situazione aggravata ulteriormente se questa contesto di precariato, per molte famiglie, diventa la vera stabilità lavorativa senza una sicura prospettiva in termini di stabilità lavorativa e di continuità ed adeguamento del reddito personale.
Ma ancora più grave si configura il fenomeno sia in termini sociali che personali se a sfruttare la situazione di precariato non è l’azienda privata, ma lo Stato che, direttamente o attraverso i suoi Enti periferici, crea e mantiene le forme di precariato per trarne ricchezza il più delle volte indebita.
Difatti i lavoratori precari impegnati nella pubblica amministrazione svolgono, quasi sempre in modo autonomo, le stesse mansioni e lo stesso lavoro di altri dipendenti che, inquadrati nella giusta logica contrattuale, percepiscono un salario molto superiore rispetto a quello dei lavoratori precari.
Vi è già violato il principio costituzionale che dovrebbe garantire uguale retribuzione ed uguali benefici a tutti i cittadini a parità di lavoro svolto.
Altro principio costituzionale violato è quello delle pari opportunità che dovrebbero avere tutti i cittadini nel concorrere , con le stesse condizioni di partenza, alla loro realizzazione personale attraverso l’accesso al mondo del lavoro senza alcuna discriminazione.
Di questa discriminazione, sopratutto nel pubblico impiego, ne sono vittima tutti i cittadini che hanno avuto sbarrata la strada per concorrere ad una lavoro che, di fatto, è stato coperto dal precariato senza l’accesso tramite un concorso, ma spesso frutto del clientelismo dissennato.
Non si tratta solo di un problema politico per cui potremmo avere lo sfizio di individuare il colpevole, ma purtroppo di un”modus operanti” che crea, da una parte, cittadini vittime dell’ingiustizia che gli nega la possibilità di concorrere in modo paritario per l’accesso al mondo del lavoro e, dall’altra parte, eterni clienti politici che, nell’attesa di vedere risolto il loro problema lavorativo in modo stabile per un ritorno di “grazia ricevuta” diventano politicamente asserviti a chi prospetta, anche solo strumentalmente, un bagliore di probabile stabilità lavorativa.
Questa logica perversa, che può essere la punta dell’iceberg di un modo perverso di intendere la gestione della cosa pubblica, porta ad un perpetuarsi dei problemi dell’intera collettività e ad un’assenza di prospettiva e di progettualità sia sociale che politica ed economica che rabbuia qualsiasi scenario di crescita anche democratica.
E’ necessario quindi che, da parte delle forze più attente ai grandi temi della nostra società ed alla prospettiva di sviluppo complessivo del sistema Paese, si veda, in una rivendicazione che pur partendo da valutazioni negative anche sul piano giuridico,ma diventa tuttavia giusta per l’aberrazione del suo negativo processo di evoluzione, un ritrovato spirito di responsabilità ed un nuovo senso del fare politica che la possa riscattare e ritornare a svolgere il suo ruolo originario di servizio e di esclusivo interesse della collettività amministrata.

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