Siracusa, la
bella addormentata
di Mario
Barresi
La città al voto: otto gli aspiranti
alla poltrona di sindaco, tra ripicche e vecchi notabili, in una campagna col
silenziatore. L'arcivescovo: "Santa Lucia ci protegga dai venditori di
fumo"
SIRACUSA. Basta uno specchio deformante, negli occhi di chi
guarda, per trasformare una bella donna in un mostro. Metti una sera al tempio
d’Apollo - fra show, comizi, camper, aggressioni ai giornalisti “prezzolati”
quando non “pennivendoli”, ricche promesse e cotillons - forse la prima sera in
cui questa campagna elettorale piatta, imbarazzata e quasi imbarazzante s’è
vivacizzata.
Nessuno, né fra chi parteggia né fra chi semplicemente
passeggia, si accorge delle meravigliose sfumature del cielo di Siracusa che,
dai vicoli, si stringe giù verso il mare. Rosa fumetto, poi verde smeraldo,
infine blu cobalto. E dire che basterebbero un aperitivo al bar dell’angolo e
un paio d’occhi sereni, per vedere - nel vero senso della parola - quant’è
unica questa città. Anche a costo di turarsi il naso per narcotizzare la puzza
di munnizza accumulata dietro l’angolo in un paio di giorni di sciopero.
Nonostante tutto, nonostante se stessa. Anche nella chiassosa fiera di una
campagna elettorale col silenziatore sui problemi, quelli veri e anche quelli
verosimili. Tagli alle indennità, tagli alle consulenze, tagli ai servizi.
Tagli, parlano tutti di tagli gli otto candidati alla
scomodissima poltrona di Palazzo Vermexio. Si dà la cura da cavallo alla
puledra di razza azzoppata dalla crisi, ma nessuno sa dire come farla
riprendere a trottare, giusto perché di galoppo non se parla nemmeno. E dire
che di gente con le idee chiare ce n’è. Come Ivan Lo Bello, presidente della
Camera di Commercio. Ricorda la manifestazione di un anno e mezzo fa, la prima
di altre che poi hanno invaso la Sicilia, in cui a Siracusa “scesero in piazza
più di cinquemila persone, con le imprese a fianco delle parti sociali non per
una mera protesta, ma per una sollecitazione al mondo politico”.
Una pars construens proseguita con il Piano strategico
per lo sviluppo del territorio; concertato, scritto e consegnato al governo
regionale in un pomeriggio di dure contestazioni al presidente Rosario
Crocetta. “A Siracusa - rivendica Lo Bello - a differenza di altre realtà ci
sono due elementi importanti dai quali ripartire: la coesione del sistema delle
categorie produttive e il fatto che queste hanno ben chiaro il modello di
sviluppo”. Il prossimo sindaco “dovrà avere una visione alta e strategica del
futuro della città per valorizzare tutte le potenzialità, dall’agroalimentare
di qualità al turismo fino a una zona industriale dove, nonostante la
devastante opposizione al rigassificatore, ci sono ancora investimenti
importanti “.
Lo Bello mette in guardia dal nemico numero uno dei
siracusani, rappresentato “dalla vigliaccheria della politica”, chiedendo di
“mettere al bando le piccole posizioni provincialiste che non hanno fatto bene
a questa città”. E ci sembra di riascoltare l’arcivescovo, Salvatore
Pappalardo, che nel Patrocinio di Santa Lucia ha invocato una preghiera dei
siracusani alla loro amata Patrona “perché ci guardi dagli opportunisti e dai
profittatori, dai cosiddetti “venditori di fumo” tanto abili nel formulare
belle promesse quanto esperti nel disattenderle dopo aver occupato un posto nel
civico consesso”.
Chissà se le durissime parole di monsignor Pappalardo
hanno scalfito la patina di una città tanto tollerante da diventare, giorno
dopo giorno, indifferente; fino a tal punto che anche gli sfregi più gravi finiscono
nell’aristocratico tritacarne del condono così-fan-tuttista. Così se muore
l’ennesimo operaio nella zona industriale moribonda, il siracusano (elettore ed
eleggibile) si gira dall’altro lato, perché - come ha scritto il collega
Massimiliano Torneo con brutale efficacia - queste le considera “cose da
priolesi, melillesi e augustani”.
Qualche mal di pancia è esploso nella lotta ai porti
turistici, quello che ci dovrebbe essere e non c’è ancora e quello sulla carta
e già impallinato dagli ambientalisti. Eppure, alla fine esce sempre lo stesso
malcelato disinteresse con cui si vive in una città con la Procura decapitata
da una montagna di veleni; lo stesso indigeno fastidio con cui si prende le
distanze dal pentolone che ribolle all’Inda, fondazione che gestisce le
Rappresentazioni classiche, considerato un gioiello di famiglia (in tutti i
sensi), da tenere con piccata ostinazione lontano dagli occhi indiscreti.
E nemmeno l’uscita di scena - giusto per restare alle
tragedie greche - del sindaco Roberto Visentin ha provocato sussulti
d’indignazione. Dopo aver giurato amore eterno ai siracusani, ha presentato le
dimissioni last minute e le ha rese note a cose fatte. Come un padre che lascia
moglie e figli con una lettera consegnata al portinaio, chiedendogli di darla
ai suoi cari dopo che lui - il fuggiasco in punta di piedi - sarà già alla
giusta distanza, assieme alla sua amante romana.
Un posto in Parlamento con Scelta civica di Mario
Monti, lunsiga che seduce e poi abbandona. Niente scranno, giammai un sottosegretariato
riparatorio, con la condanna all’oscurità, forse nemmeno tanto sgradita al
condannato: non più candidato, desaparecido di questa campagna elettorale,
favorito dalla distratta tolleranza che diventa indifferenza condonatrice.
E allora sono otto gli aspiranti al timone della nave
abbandonata dal Visentin-Schettino, della quale proprio in queste ore il
commissario straordinario, il prefetto Alessandro Giacchetti, certifica il
mancato affondamento: dissesto scongiurato, grazie a un mutuo di 2,5 milioni
con la Cassa depositi e prestiti. Con rimbrotto annesso: “Vivete in una città
meravigliosa, ma dalle potenzialità inespresse”, è la cartolina per i
siracusani. Di invertire questa china ne sono convinti tutti. A partire dal
centrosinistra, che propone il 36enne renziano Giancarlo Garozzo, trionfatore
delle primarie in cui ha battuto un altro giovane, Alessio Lo Giudice,
sostenuto dai big del Pd. Un “voto inquinato”, secondo i detrattori che, oltre
al voto in massa di gente del centrodestra, vedono la mano dei vecchi
democristiani (Gino Foti in testa) spingere il virgulto, appoggiato da
Megafono, Sel e area Ingroia.
Garozzo, oltre a essere un giovane bravo e competente,
è nipote di Aldo, presidente di Confindustria Siracusa e dell’Autorità portuale
di Augusta, che tutti definiscono alleato di ferro della Prestigiacomo. Ma la
Balena Bianca fa capolino anche nell’entourage del contendente del
centrodestra: giovane e pulito anch’egli, Edy Bandiera, figlio d’arte (suo
padre Tatai fu sindaco dc) e punta di diamante dell’Udc, è stato fortemente
voluto da Pippo Gianni (immarcescibile diccì) e da Stefania Prestigiacomo, che
qui i vecchietti di Ortigia continuano a chiamare “’a niputi di Santinu
Nicita”, sottolineando una discendenza scudocrociata comunque diluita dal
curriculum dell’ex ministro. Che è la nemica giurata di Enzo Vinciullo, ex dc
nicolosiano poi in An, ora sospeso dal Pdl (di cui a Siracusa è “azionista”
quasi al 40%) per aver annunciato il sostegno a Paolo Ezechia Reale.
Candidatura molto trasversale (l’avrebbero voluto sia il centrodestra sia il
centrosinistra) e molto ben voluta nei salotti chic. E sostenuta, oltre che dal
redivivo Fabio Granata, dall’ex presidente del Consiglio provinciale, Michele
Mangiafico, nipote (ex) prediletto del già citato Pippo Gianni.
Negli scricchiolii del centrodestra prova a farsi
strada Gianni Briante, ex coordinatore di Grande Sud, molto vicino all’ex
sindaco Titti Bufardeci, quest’ultimo folgorato sulla strada di Crocettopoli.
Briante è stato incalzato fino all’ultimo dai potenziali alleati, con la
richiesta di un passo indietro. La cosidetta società civile, giusto per farsi
del male, ha diviso le probabilità di dire la sua con le candidaturedi Santi
Pane e Pucci La Torre. Profili inattaccabili, facce rassicuranti. Entrambi.
Partiti uniti in quel bel think-thank di “Siracusa Volta Pagina” e poi divisi
al momento di scegliere un solo volto che rappresentasse il cambiamento.
Anche i 5 Stelle vogliono dire la loro, forti di un
radicamento sul territorio ben precedente alle mode grilline e al salto nel
carro del vincitore. Così Marco Ortisi, fra i fondatori del movimento, conta di
capitalizzare al meglio l’istinto rivoluzionario anche dei più sciroccati fra i
siracusani. Per conquistare la città in cui anche il candidato virtuale -
quello che non c’è, frutto della goliardica genialità di Emiliano Colomasi,
sospinto dallo slogan “Non ci sono fatti ma solo raccomandazioni “ - si chiama
Friedrich di nome ma fa Nicita (di cui sopra) di cognome.
E infine, come sempre, c’è Franco Greco, appassionato
avvocato delle cause dei perdenti per definizione, che gira la città con il
camioncino dei pompieri svizzeri comprato all’asta qualche anno fa, sul quale
campeggia una sua foto del 1994 (“non sono mai cambiato”, giura), facendo risuonare
i decibel piovaniani, dolci e tristi, de La vita è bella. Greco, che ha
indicato fra gli assessori il suo collega novantenne Corrado Piccione, è il
vecchissimo-nuovissimo che avanza. Fu senatore del Psi, nei bei tempi andati.
Un segnale di discontinuità, nella città-ventre di una Balena bianca che guizza
immortale nel mare di Archimede.
( Questo articolo è pubblicato sulla “ Sicilia” del 3
giugno 2013
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