giovedì 24 luglio 2014



MA ESISTE ANCORA LA SINISTRA IN ITALIA?

Nel periodo politico post bellico, difronte ad una forte ideologizzazione della politica frutto anche dei blocchi contrapposti che alimentavano la cosiddetta guerra fredda, l’impegno politico e sociale era caratterizzato da una dura contrapposizione che differenziava i militanti secondo lo schema anche  plastico di destra e sinistra.
Il fossato fra questi due schieramenti era molto ampio e profondo.
Ne impediva le contaminazioni culturali sacrificando il dialogo ed il confronto alla stretta osservanza dei rispettivi dogmi che, lungi dall’interpretare le esigenze reali dei cittadini, li imbalsamava su rigidi schemi aprioristici e spesso avulsi dal contesto di rappresentanza reale.
Ci sono voluti molti anni prima che si abbandonasse lo steccato ideologico aprendosi al dialogo e al confronto fra soggetti politici diversi che però, di questa diversità, avrebbero fatto strumento per rafforzare la democrazia e rispondere nel modo migliore alle esigenze reali dei cittadini.
Non vi è dubbio che, il lento sciogliersi del ghiaccio dello steccato ideologico, è dovuto soprattutto all’operato politico di un grande partito interclassista e popolare quale è stata la Democrazia Cristiana e il maturare, nello scacchiere internazionale, di fatti concreti e di riflessioni politiche che hanno evidenziato la rigidità ideologica dei dogmi di matrice marxista assieme alle negative esperienze istituzionali dei paesi del socialismo reale  provocando prima una riflessione critica e poi il netto abbandono del credo politico praticato da parte dei cosiddetti partiti satelliti del comunismo sovietico.
La stessa Cina è prepotentemente uscita dall’ortodossia comunista aprendosi ad una forte revisione ideologica e politica che le ha permesso di aprirsi al mondo pur in un contesto di gestione istituzionale con forte presenza di strutture autoritarie.
Nella fase della seconda Repubblica e con un sistema elettivo maggioritario, la divisione in destra e sinistra è stata nuovamente accentuata come necessità di aggregazione dei rispettivi schieramenti che dovevano produrre consensi elettorali.
 Non più attraverso uomini capaci di incarnare le istanze del territorio, ma con  leadership fortemente personalizzata e gestione del consenso in modo fideistico.
In questo quadro la divisione destra – sinistra è stata funzionale solo alla spicciola ricerca del consenso e non ha determinato accentuazioni culturali contrapposte in quanto, salvo che in ristretti gruppi estremistici presenti nei due schieramenti ancora ancorati ad anacronistiche  basi ideologiche, non vi è stata nessuna produzione culturale capace di caratterizzare la modernità dei due schieramenti.
Anzi la cosiddetta modernità culturale post prima Repubblica, è stata la riscoperta di idee e personaggi di matrice democristiana che sono diventati i numi ispiratori dell’azione politica del centro destra e del centro sinistra in Italia.
Basti pensare a Moro, la Pira, Dossetti ed allo stesso De Gasperi.
Con la forte menomazione dei leader che hanno caratterizzato la seconda Repubblica, la carenza gestionale delle istituzioni assieme a forme diverse di partecipazione alla vita partitica ed istituzionale, vedi le primarie, si è arrivati ad un forte rimescolamento dell’offerta politica.
Essa sta cambiando sia il quadro politico istituzionale preesistente che la struttura partitica sulla base di un’aggregazione del consenso che svuota le precedenti certezze che ne hanno rappresentato la base aggregante della relativa offerta politica.
A questo bisogna aggiungere il nuovo quadro d’insieme che caratterizza lo scenario partitico nazionale con aggregazioni nuove e diverse rispetto a qualche anno fa e con una loro permanenza in vita molto limitata nel tempo e soggetta alle ambizioni dei proponenti o al mutare delle aggregazioni elettorali. 
In un momento di grave crisi economica e di sbandamento politico elettorato , come quella che stiamo attraversando, l’elettorato risponde subito con la disaffezione dalla politica e dai suoi rappresentanti che si traduce in un aumento dell’astensionismo e della crescita dei partiti protestatari.
Allo stesso modo chi continua a fare politica da posizione di contrapposizione rispetto alla classe che governa, caratteristica della sinistra, trova rifugio negli schieramenti partitici che incarnano la protesta e le posizioni estreme.
Ecco la forte presenza dei grillini che raccoglie elettori di diversa fede politica accomunati dalla disaffezione e dal rancore, ma che non può annoverarsi come partito di sinistra perché, in un certo qual senso, non vi è più un elettorato di sinistra secondo la vecchia visione fideistica che portava alla immobilità dei seguaci.
Oggi non esiste nemmeno un grande partito della sinistra italiana, ma un partito Democratico che ha abbandonato il porto della rappresentanza della sinistra classica per veleggiare verso posizioni che una volta caratterizzavano il centro politico e che adesso rappresentano la sfida impegnativa per essere un partito di Governo che affronta i problemi su basi di realismo politico non ancorato agli oracoli o soggetto alle visioni dogmatiche.
La svolta della politica italiana operata da Renzi, quale leader di un partito proveniente dalla sinistra, è stata proprio quella di rivoltare l’impostazione culturale precedente e di dare al partito Democratico nuove connotazioni capaci di renderlo credibile per ciò che propone ed attua e non per ciò che storicamente e tradizionalmente rappresenta.
Ed un leader che non proviene dalla storia comunista, ma dalla matrice cristiano – sociale, non poteva non accantonare la classe dirigente che incarnava la vecchia cultura e non dava credibilità alla nuova proposta.
La mossa è stata vincente perché, come dimostrano i grafici di recenti studi sui flussi elettorali in Italia, vi è stato un forte sparigliamento nel voto degli elettori che sono  più dinamici nelle scelte elettorali in quanto non più ancorati nella difesa del proprio orticello delimitato dall’ideologia e dalla logica dell’appartenenza.
Anche i risultati delle ultime elezioni europee dimostrano che la forte concentrazione di consensi verso il partito Democratico non è il frutto della compattezza del tradizionale elettorato di sinistra, ma la convergenza di elettori cosiddetti moderati che, assieme a quelli della sinistra di governo, danno fiducia ad una proposta politica che è più vicina alla loro visione della società che a ciò che la vecchia classe dirigente proponeva con i suoi riti stantii.
Anche la recente proposta di etichettare il partito democratico come partito nazionale va in questa direzione perché lo affranca dagli schemi marxisti e prende atto del nuovo ruolo culturale e della nuova base elettorale.
Se a ciò sommiamo la scarsa e quasi nulla incidenza di vecchie e nuove formazioni politiche  dello spazio comunemente detto a sinistra dei DS e la impopolarità e la sperduta rotta dei sindacati, soprattutto la Cgil, non riconosciuti più dal loro vecchio porto del partito di estrazione comunista, possiamo affermare che veramente non esiste più la sinistra in Italia, non solo secondo la vecchia logica organizzativa, ma soprattutto dal punto di vista della proposta culturale perché non vi è un partito politico credibile che la rappresenta nella sua tradizione.
Il partito democratico veleggia con il vento in poppa verso altri lidi culturali ed incamera altri elettori che hanno problemi e prospettive che non si ancorano alla cosiddetta base della sinistra che ne era la potenzialità elettorale.
 Adesso solo un incidente di percorso potrà portare all’autodistruzione dei Ds e interrompere il cammino politico che, grazie al suo leader Renzi, ha i necessari consensi per cambiare la storia.

Pippo Bufardeci 
 24.07.2014

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