MA ESISTE ANCORA LA SINISTRA IN
ITALIA?
Nel periodo politico post bellico, difronte ad una forte
ideologizzazione della politica frutto anche dei blocchi contrapposti che
alimentavano la cosiddetta guerra fredda, l’impegno politico e sociale era
caratterizzato da una dura contrapposizione che differenziava i militanti
secondo lo schema anche plastico di
destra e sinistra.
Il fossato fra questi due schieramenti era molto ampio e
profondo.
Ne impediva le contaminazioni culturali sacrificando il
dialogo ed il confronto alla stretta osservanza dei rispettivi dogmi che, lungi
dall’interpretare le esigenze reali dei cittadini, li imbalsamava su rigidi
schemi aprioristici e spesso avulsi dal contesto di rappresentanza reale.
Ci sono voluti molti anni prima che si abbandonasse lo
steccato ideologico aprendosi al dialogo e al confronto fra soggetti politici
diversi che però, di questa diversità, avrebbero fatto strumento per rafforzare
la democrazia e rispondere nel modo migliore alle esigenze reali dei cittadini.
Non vi è dubbio che, il lento sciogliersi del ghiaccio dello
steccato ideologico, è dovuto soprattutto all’operato politico di un grande
partito interclassista e popolare quale è stata la Democrazia Cristiana e il
maturare, nello scacchiere internazionale, di fatti concreti e di riflessioni
politiche che hanno evidenziato la rigidità ideologica dei dogmi di matrice
marxista assieme alle negative esperienze istituzionali dei paesi del
socialismo reale provocando prima una
riflessione critica e poi il netto abbandono del credo politico praticato da
parte dei cosiddetti partiti satelliti del comunismo sovietico.
La stessa Cina è prepotentemente uscita dall’ortodossia
comunista aprendosi ad una forte revisione ideologica e politica che le ha
permesso di aprirsi al mondo pur in un contesto di gestione istituzionale con
forte presenza di strutture autoritarie.
Nella fase della seconda Repubblica e con un sistema elettivo
maggioritario, la divisione in destra e sinistra è stata nuovamente accentuata
come necessità di aggregazione dei rispettivi schieramenti che dovevano
produrre consensi elettorali.
Non più attraverso
uomini capaci di incarnare le istanze del territorio, ma con leadership fortemente personalizzata e
gestione del consenso in modo fideistico.
In questo quadro la divisione destra – sinistra è stata
funzionale solo alla spicciola ricerca del consenso e non ha determinato
accentuazioni culturali contrapposte in quanto, salvo che in ristretti gruppi
estremistici presenti nei due schieramenti ancora ancorati ad
anacronistiche basi ideologiche, non vi
è stata nessuna produzione culturale capace di caratterizzare la modernità dei
due schieramenti.
Anzi la cosiddetta modernità culturale post prima Repubblica,
è stata la riscoperta di idee e personaggi di matrice democristiana che sono
diventati i numi ispiratori dell’azione politica del centro destra e del centro
sinistra in Italia.
Basti pensare a Moro, la Pira, Dossetti ed allo stesso De
Gasperi.
Con la forte menomazione dei leader che hanno caratterizzato
la seconda Repubblica, la carenza gestionale delle istituzioni assieme a forme
diverse di partecipazione alla vita partitica ed istituzionale, vedi le
primarie, si è arrivati ad un forte rimescolamento dell’offerta politica.
Essa sta cambiando sia il quadro politico istituzionale
preesistente che la struttura partitica sulla base di un’aggregazione del
consenso che svuota le precedenti certezze che ne hanno rappresentato la base aggregante
della relativa offerta politica.
A questo bisogna aggiungere il nuovo quadro d’insieme che
caratterizza lo scenario partitico nazionale con aggregazioni nuove e diverse
rispetto a qualche anno fa e con una loro permanenza in vita molto limitata nel
tempo e soggetta alle ambizioni dei proponenti o al mutare delle aggregazioni
elettorali.
In un momento di grave crisi economica e di sbandamento
politico elettorato , come quella che stiamo attraversando, l’elettorato risponde
subito con la disaffezione dalla politica e dai suoi rappresentanti che si
traduce in un aumento dell’astensionismo e della crescita dei partiti
protestatari.
Allo stesso modo chi continua a fare politica da posizione di
contrapposizione rispetto alla classe che governa, caratteristica della
sinistra, trova rifugio negli schieramenti partitici che incarnano la protesta
e le posizioni estreme.
Ecco la forte presenza dei grillini che raccoglie elettori di
diversa fede politica accomunati dalla disaffezione e dal rancore, ma che non
può annoverarsi come partito di sinistra perché, in un certo qual senso, non vi
è più un elettorato di sinistra secondo la vecchia visione fideistica che
portava alla immobilità dei seguaci.
Oggi non esiste nemmeno un grande partito della sinistra
italiana, ma un partito Democratico che ha abbandonato il porto della
rappresentanza della sinistra classica per veleggiare verso posizioni che una
volta caratterizzavano il centro politico e che adesso rappresentano la sfida
impegnativa per essere un partito di Governo che affronta i problemi su basi di
realismo politico non ancorato agli oracoli o soggetto alle visioni dogmatiche.
La svolta della politica italiana operata da Renzi, quale
leader di un partito proveniente dalla sinistra, è stata proprio quella di
rivoltare l’impostazione culturale precedente e di dare al partito Democratico
nuove connotazioni capaci di renderlo credibile per ciò che propone ed attua e
non per ciò che storicamente e tradizionalmente rappresenta.
Ed un leader che non proviene dalla storia comunista, ma
dalla matrice cristiano – sociale, non poteva non accantonare la classe
dirigente che incarnava la vecchia cultura e non dava credibilità alla nuova
proposta.
La mossa è stata vincente perché, come dimostrano i grafici
di recenti studi sui flussi elettorali in Italia, vi è stato un forte
sparigliamento nel voto degli elettori che sono
più dinamici nelle scelte elettorali in quanto non più ancorati nella
difesa del proprio orticello delimitato dall’ideologia e dalla logica
dell’appartenenza.
Anche i risultati delle ultime elezioni europee dimostrano
che la forte concentrazione di consensi verso il partito Democratico non è il
frutto della compattezza del tradizionale elettorato di sinistra, ma la
convergenza di elettori cosiddetti moderati che, assieme a quelli della
sinistra di governo, danno fiducia ad una proposta politica che è più vicina
alla loro visione della società che a ciò che la vecchia classe dirigente
proponeva con i suoi riti stantii.
Anche la recente proposta di etichettare il partito
democratico come partito nazionale va in questa direzione perché lo affranca
dagli schemi marxisti e prende atto del nuovo ruolo culturale e della nuova
base elettorale.
Se a ciò sommiamo la scarsa e quasi nulla incidenza di
vecchie e nuove formazioni politiche dello
spazio comunemente detto a sinistra dei DS e la impopolarità e la sperduta
rotta dei sindacati, soprattutto la Cgil, non riconosciuti più dal loro vecchio
porto del partito di estrazione comunista, possiamo affermare che veramente non
esiste più la sinistra in Italia, non solo secondo la vecchia logica
organizzativa, ma soprattutto dal punto di vista della proposta culturale
perché non vi è un partito politico credibile che la rappresenta nella sua
tradizione.
Il partito democratico veleggia con il vento in poppa verso
altri lidi culturali ed incamera altri elettori che hanno problemi e
prospettive che non si ancorano alla cosiddetta base della sinistra che ne era
la potenzialità elettorale.
Adesso solo un
incidente di percorso potrà portare all’autodistruzione dei Ds e interrompere
il cammino politico che, grazie al suo leader Renzi, ha i necessari consensi
per cambiare la storia.
Pippo Bufardeci
24.07.2014
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