domenica 18 dicembre 2016

ASSEMBLEA PD E MATTARELLUM


L'ASSEMBLEA DEL PD VUOLE IL MATTARELLUM COME LEGGE ELETTORALE.

Dopo la decisione del Partito Democratico di riproporre il Mattarellum come nuova legge elettorale, mi sembra opportuno proporla ai lettori del mio blog così come riportate nel mio libro: I SISTEMI ELETTORALI, STRUMENTO DI DEMOCRAZIA.
Nel contempo, alla luce della lunga esperienza maturata e delle critiche al sistema nel periodo della sua applicazione, ritengo che bisognerebbe almeno apportare DUE MODIFICHE  che propongo alla fine dello scritto.

MATTARELLUM
La prima legge elettorale italiana per la elezione della Camera dei deputati
dopo il ventennio fascista fu sostanzialmente di proporzionale puro e, come
abbiamo già visto, rimase in carica fi no al 1993.
Nel 1953 vi fu il tentativo dell’introduzione del premio di maggioranza alla
lista o coalizione che avesse ottenuto almeno il 50 % + 1 dei voti validi, ma la
stessa venne ingiustamente bollata come legge truffa e non se ne fece niente.
Nel 1993 si pose mano a una modifi ca della legge elettorale anche a seguito del
referendum che aveva decretato il passaggio dal vecchio proporzionale a un
sistema maggioritario che garantisse maggiore stabilità politica e istituzionale
e quindi maggiore governabilità.
Rimaneva comunque una quota del 25 % dei seggi che veniva attribuita con
il sistema proporzionale.
Entra quindi in uso la nuova normativa elettorale (legge 276 Camera e 277 per
il Senato del 4 agosto 1993) che è passata nella storia del linguaggio comune
come “Mattarellum” dal nome del suo proponente on. Piersanti Mattarella e
da una indicazione del politologo Giovanni Sartori.
Il territorio italiano fu diviso in 475 collegi uninominali per la elezione della
Camera dei deputati e 232 per il Senato della Repubblica.
CAMERA
In ciascun collegio per la Camera dei deputati risultava eletto il candidato
del partito o della coalizione che avesse ottenuto il maggior numero di
voti per un totale nazionale pari al 75 % dei deputati da eleggere.
Anche un solo voto in più, rispetto all’avversario più prossimo, ne decretava
l’elezione.
Il rimanente 25 % non assegnato con i collegi uninominali a sistema
maggioritario veniva redistribuito attraverso la presentazione di una lista
a candidature multiple, ma bloccata e senza preferenze.
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I candidati spettanti, che venivano eletti in base alla cifra elettorale
della lista su base nazionale, risultavano essere quelli secondo l’ordine
progressivo di presentazione nella lista stessa e fi no a esaurimento del
numero dei seggi spettanti. I candidati potevano essere anche gli stessi
indicati nei collegi uninominali.
Ma come avveniva il rapporto fra i candidati nei collegi elettorali e quelli
della lista proporzionale?
In fase di presentazione della candidatura i candidati nei collegi uninominali
dichiaravano di apparentarsi fra di loro per costituire gruppo
all’interno della circoscrizione e dichiaravano di essere collegati a una
lista che aveva presentato propri candidati nel sistema proporzionale per
aggiudicarsi una quota del rimanente 25 %.
Questo apparentamento, di solito, avveniva fra liste aventi lo stesso
contrassegno e quindi lo stesso partito o coalizione.
Ma, come vedremo, per motivi di strategia politica e di tecnica elettorale
non sempre questo avveniva.
La dichiarazione di apparentamento era necessaria perché la legge prevedeva
che alla lista del proporzionale venivano tolti i voti ottenuti dai
candidati che avevano dichiarato il collegamento e che erano già stati
eletti nei collegi maggioritari.
Siamo di fronte al cosiddetto scorporo dei voti che aveva il solo scopo
di togliere forza numerica alle liste più forti e permettere anche alle
formazioni più piccole di ottenere dei seggi nel sistema proporzionale.
Ma sorse subito l’invenzione delle liste civetta, diverse dal partito o dalla
coalizione presente nei collegi uninominali, cui si collegavano i candidati,
per evitare che lo scorporo potesse togliere voti e seggi al proprio partito.
Difatti il computo dei voti da togliere veniva fatto sulla lista civetta che
spesso era priva di suffragi e non intaccava quelli della lista del partito
che, conservando tutta la propria forza elettorale, concorreva per un
numero maggiore di seggi da conquistare.
L’assegnazione dei seggi del proporzionale per la Camera non avveniva
sulla base di collegi regionali o coinvolgendo i collegi uninominali at33
traverso il recupero dei non eletti (Come per il Senato), ma direttamente
sulla base delle schede elettorali espresse dagli elettori nelle liste proporzionali
di circoscrizione.
Alla spartizione dei seggi contribuivano le liste che avevano superato il
4 % su base nazionale.
Il Mattarellum fu utilizzato per la elezione della Camera dei deputati del
1994, 1996 e 2001.
Questo sistema maggioritario non raggiunse però il suo obiettivo principale
che era quello di garantire la stabilità del Governo e delle sue
maggioranze politiche in quanto le maggioranze, come avviene anche
adesso, si potevano subito sciogliere dal patto di collaborazione pur
avendo avuto il benefi cio, in termini di seggi, dell’appartenenza alla
coalizione stessa.
La mancanza di stabilità si manifestò sia nel 1994 con il primo governo
Berlusconi che durò appena 9 mesi, dopo che la Lega Nord abbandonò la
coalizione, e fu sostituito dal Governo Dini che ci portò a nuove elezioni.
Non fu più fortunato il primo Governo Prodi delle elezioni successive
del 1996 in quanto durò in carica solo due anni in quanto abbandonato
dall’alleato che era Rifondazione comunista.
Fu sostituito da due Governi D’Alema, che durarono rispettivamente 14
e 4 mesi, per essere sostituiti dal Governo Amato che rimase in carica
14 mesi.
Dopo le elezioni del 2008 Berlusconi ebbe un’ampia maggioranza con
una coalizione che vedeva, oltre a Forza Italia, anche AN, UDC e Lega
Nord.
Anche qui le cose, dal punto di vista della stabilità, non andarono molto
bene a causa dei continui litigi in seno alla coalizione.
Berlusconi dette vita a due Governi di cui uno di 4 anni e un altro nell’anno
rimanente del mandato parlamentare.
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SENATO
Per la elezione del Senato della Repubblica il territorio nazionale fu
diviso in 232 collegi uninominali secondo un criterio di ripartizione
regionale basato sul rapporto popolazione-quoziente elettorale (rapporto
fra popolazione residente e composizione numerica del Senato).
Questi Collegi rappresentavano il 75 % dei senatori da eleggere, mentre
il rimanente 25 % era affi dato al collegio unico nazionale con sistema
proporzionale.
Per quanto riguarda il Senato, gli 83 seggi proporzionali venivano assegnati
successivamente su base regionale così come previsto dal dettato
costituzionale.
In ogni Regione venivano sommati i voti di tutti i candidati uninominali
che non erano riusciti a ottenere la vittoria in fase di collegio elettorale
e che si fossero collegati in un gruppo regionale.
I seggi venivano assegnati utilizzando il metodo D’Hondt.
Gli scranni così ottenuti da ciascun gruppo venivano assegnati, all’interno
dello stesso gruppo, ai candidati perdenti che avevano ottenuto le
migliori percentuali elettorali.
Schema pratico di attribuzione dei seggi senatoriali
Immaginiamo il caso di una Regione cui erano stati attribuiti 8 seggi, e
nella quale, conseguentemente, istituiti 6 collegi uninominali e 2 seggi
(25 %) sul proporzionale e determiniamo i calcoli sulla base di 4 schieramenti
contendenti.
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I sei seggi dei collegi uninominali vengono così assegnati: 3 all’ “Unione”,
2 al “Blocco” e 1 al “Gruppo”.
Si procede, quindi, al calcolo per l’attribuzione dei 2 seggi riservati alla
quota proporzionale: a tal fi ne, si sommano i voti di tutti i candidati
perdenti delle quattro coalizioni in gara.
Viene quindi utilizzato il metodo D’Hondt per l’attribuzione dei due

seggi del proporzionale per cui dividiamo i quozienti elettorali

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