sabato 21 giugno 2014



ORMAI I RICORSI FANNO MODA

Ormai è invalsa la moda che chiunque perda una competizione, soprattutto elettorale, si premura di presentare un bel ricorso quale antidoto alla sconfitta.
Senza scomodare tanto la storia dei ricorsi e ricorrenti e volendoci limitare solo alla cronaca più vicina a noi, non possiamo non ascoltare ancora l’eco delle mille vicissitudini che hanno caratterizzato il ricorso di un candidato non eletto alle recenti competizioni regionali che ancora inonda d’inchiostro la cronaca giornalistica nostrana.
Sia chiaro che, se i ricorsi sono fondati e circostanziati nei punti riguardanti la sostanza del ricorso stesso, è nel diritto dei ricorrenti investire le autorità competenti per fare chiarezza sia tecnica che giuridica.
Difatti non sono pochi gli errori commessi dai componenti dei seggi elettorali molto spesso impreparati a svolgere il loro ruolo e più portati a puntare alla diaria giornaliera che a rendersi conto dell’importanza del compito che devono svolgere.
Questo però non vuol dire che i ricorsi possono essere sempre  fondati o che abbiano una valenza fortemente incidente sui risultati.
Tantè che anche le competenti autorità ammettono un margine di errore fisiologico che non da credibilità al ricorso stesso se l’errore è nell’ambito dell’errore fisiologico.
Corre voce accreditata da parecchi ambienti interessati che anche la recente elezione del nuovo sindaco di Pachino non sfugga alla moda del ricorso facile.
Si da per certo che un candidato che non è stato ammesso al ballottaggio stia preparando un ricorso avverso alcuni risultai trascritti nei verbali di alcuni seggi che, per l’ipotetico errore che sarebbe stato commesso nella trascrizione dei totali dei voti assegnati ai candidati, lo avrebbe escluso dal ballottaggio.
Cioè questo candidato ritiene che doveva andarci lui al ballottaggio con Roberto Bruno e non Andrea Ferrara.
La richiesta ovvia sarebbe quella di riesaminare i verbali ed eventualmente anche le schede per potere rifare il ballottaggio se non le elezioni intere.

A mio avviso, anche se il ballottaggio si fosse svolto con il candidato ricorrente, l’esito sarebbe stato lo stesso se non peggiore per il ricorrente.
Pachino ha un suo Sindaco eletto democraticamente dal popolo ed è legittimato ad assumersi la responsabilità ad essere il nocchiero di questa nave sgangherata ed in aperta tempesta.
Anzi dovremmo fare tutti uno sforzo di responsabilità per cui, terminata la fase della diversità delle scelte, ciascuna delle persone responsabili e capaci di dare un contributo positivo per aiutare a salvare questo martoriato paese, deve responsabilmente svolgere la sua parte.
Le collaborazioni per il bene comune devono essere gradite, ricercate ed offerte responsabilmente.

21/06/2014
Pippo Bufardeci

sabato 14 giugno 2014



ELEZIONI A PACHINO, FINITA LA FESTA INIZIA IL LAVORO

La campagna elettorale per la elezione del nuovo sindaco di Pachino è terminata con la vittoria di Roberto Bruno e già la nuova compagine amministrativa inizia i suoi primi passi amministrativi.
Possiamo subito dire che questa campagna elettorale, sia pure con qualche lieve eccezione, si può annoverare fra quelle più corrette che si siano svolte in un paese politicamente difficile qual è quello di Pachino.
Anche se vi è stata una esagerata schiera di candidati Sindaco si è svolto tutto con molta correttezza, senza eccessiva acredine e senza alcuna manifestazione di arroganza da parte dei contendenti.
Questo è già un buon segno che è stato anche confermato nella fase del ballottaggio ove i due candidati rimasti, Bruno e Ferrara, hanno evitato qualsiasi spicciola polemica e riconosciuto  la legittimità di entrambi anche con segnali di riconoscimento reciproco e collaborazione.
Adesso inizia la fase di preparazione al lavoro amministrativo che è molto diversa da quella politica e dalla ricerca del consenso elettorale perché ogni affermazione deve diventare atto concreto  ed ogni atto concreto ha insite difficoltà di ogni tipo.
Non ci troviamo a Pachino in una situazione di tranquillità amministrativa e politica  tale da potere permettere lunghe fasi di tirocinio o rodaggio per chiunque va ad amministrare la città soprattutto se alle prime armi.
I problemi incombono e, come ha sempre sostenuto il nuovo sindaco anche in tempi di forte dissenso rispetto alle amministrazioni precedenti, bisogna cercare il più ampio consenso possibile per intraprendere il difficile cammino della gestione della cosa pubblica.
Adesso non ci resta che augurare buon lavoro a tutti i componenti della nuova compagine amministrativa ricordando loro che l’arroccamento è il primo tarlo che porta alla sconfitta.
14.06.2014
Pippo Bufardeci

domenica 1 giugno 2014

BALLOTTAGGIO PER IL SINDACO DI PACHINO, FERRARA E BRUNO RIPARTONO ALLA PARI


Si è chiuso stamane alle 10 l’ultimo adempimento tecnico relativo al ballottaggio elettorale che si disputerà domenica prossima a Pachino per l’elezione del nuovo Sindaco.
Ieri si è invece conclusa la fase relativa alla nomina degli assessori per completare la squadra da proporre agli elettori.
Forse per la prima volta, da quando a Pachino si vota con il sistema diretto dell’elezione del Sindaco, nessuno dei due contendenti si è apparentato con altre liste oltre a quelle della prima tornata.
Eppure sembrava normale visto che vi sono stati ben nove candidati a Sindaco con numerose liste collegate e che i due aspiranti Sindaco che sono andati al ballottaggio non hanno fatto il pieno di preferenze capace di metterli al riparo da eventuali imprevisti.
Adesso la partita è tutta da giocare perché si ricomincia da zero e perché vi sono molti voti in libera uscita senza nessuna indicazione ufficiale da parte dei leader che sono stati votati nella prima tornata.
Vi sono molti osservatori politici che evidenziano come i voti che si liberano al ballottaggio appartengano a flussi elettorali che potrebbero dare maggiore vantaggio al candidato Ferrara in quanto sono espressione di cittadini che potrebbero essere più affascinati dalla proposta politica e dal tipo di comunicazione espressa da Ferrara rispetto a quella di Roberto Bruno.
Quest’ultimo, stante a questi ragionamenti, avrebbe già dato quasi il massimo al primo turno elettorale ed il suo bacino cui attingere nuovi voti sia molto ristretto in quanto i flussi elettorali che confluirebbero su Bruno si sono quasi tutti già espressi evidenziando la loro consistenza e la loro poca capacità di ulteriore espansione.
Quello che però adesso sembra evidente è che si ricomincia daccapo ed alla pari fra i due candidati per cui la vittoria finale dipenderà esclusivamente dalla capacità dei propri sostenitori di organizzarsi per potere contattare il maggior numero di elettori possibile che hanno già votato al primo turno, ma soprattutto coloro che hanno scelto altri candidati e che adesso si trovano a decidere se optare per Ferrara o Bruno.
Il resto lo determineranno le proposte che i candidati faranno per governare il paese, la loro capacità di appeal verso gli elettori, la credibilità personale, la squadra scelta per gli assessorati e le teoriche convenienze che potrebbero avere i gruppi organizzati a scegliere l’uno o l’altro anche senza apparentamento ufficiale.
Un altro aspetto da evidenziare è quello relativo alle numerose liste che non hanno superato il quorum del 5% previsto per accedere all’assegnazione dei seggi così come non si può non constatare come anche parecchi candidati a Sindaco hanno raggiunto un numero di voti di assoluta inconsistenza elettorale così come molti candidati non hanno ricevuto nessun voto ed intere famiglie si sono candidate in partiti e schieramenti di versi.
A mio avviso tutto ciò  è il frutto di una marcata improvvisazione e di una incultura politica che porta a pensare che il fare politica o  amministrare un comune sia da considerarsi alla stessa stregua di una scampagnata, di un giorno di festa o di una carnevalata ove mettere la faccia su un manifesto, un fac – simile, girare amici e parenti del paese o farsi vedere in qualche televisione locale .
In questa situazione il cosiddetto rinnovamento non può che essere solo di facciata fino a quando non si capirà l’importanza della politica vera, della gestione seria della cosa pubblica e della selezione della classe dirigente non in funzione solo dell’età, ma della capacità, dell’intelligenza e della credibilità personale.
Pippo Bufardeci
01.06.2014

lunedì 19 maggio 2014

ELEZIONI COMUNALI ED INTERESSI PERSONALI





Domenica 25 maggio prossimo, oltre che per le elezioni europee, nella provincia di Siracusa si voterà anche per eleggere i consigli comunali ed i sindaci dei comuni di Pachino e Portopalo di Capo Passero.
Sarà un evento che metterà in secondo piano le elezioni europee e quasi le ignorerà in quanto tutta la lotta politica sarà concentrata sulle problematiche sociali e sulla pletora di candidati sindaci e consiglieri comunali che aspirano a sedersi sugli scranni del potere comunale.
E’ ormai cosa risaputa e constatata che ad ogni elezione locale aumenta il numero delle liste che si presentano nonché i candidati che aspirano a cimentarsi nella lotta politica locale e nella gestione della cosa pubblica.
L’esponenziale aumento delle liste, soprattutto civiche, è dovuta all’assenza di partiti capaci di interpretare le istanze della società e soprattutto di creare le condizioni per essere riferimento di interessi collettivi e di obiettivi condivisi.
La personalizzazione della rappresentanza politica a scapito della partecipazione  dei cittadini nella individuazione e gestione delle fasi operative per raggiungere gli obiettivi per cui si sceglie un soggetto politico, ha generato una disaffezione verso il soggetto politico di rappresentanza ed ha creato sia dei cittadini che delegano solo su basi emotive  sia altri che decidono di non cimentarsi in nessuna azione politica in quanto ritengono ininfluente il loro apporto.
Tutti e due le posizioni portano alla negazione della democrazia e generano momenti di confusione ed anche di convincimento che le regole democratiche hanno validità solo se capaci di rispondere alle esigenze personali e non alla ricerca di obiettivi comuni per migliorare la qualità del vivere sociale.
Questa convinzione, a mio avviso, sta anche alla base della ricerca del fai da te a livello della gestione delle comunità locali dove gli interessi personali hanno maggiore visibilità e dove si è convinti che non basta delegare in un virtuoso sistema di rappresentanza democratica in quanto è meglio essere loro stessi i diretti difensori dei propri interessi.
Ecco allora il sorgere delle numerose liste civiche che costellano ogni elezione locale, il numero spropositato di soggetti che si propongono come sindaci gestori della cosa pubblica e miriadi di candidati per far parte di un consiglio comunale di cui, non solo ignorano compiti e competenze, ma anche l’ubicazione fisica del luogo.
Se in un sistema di democrazia realmente partecipata e sostanzialmente conosciuta dai vari soggetti sarebbe una dimostrazione dell’attaccamento al bene comune.  In un sistema di vagabondaggio politico e di incultura ed ignoranza dei compiti gestionali della cosa pubblica, è solamente una dimostrazione del livellamento in basso che caratterizza le istituzioni ed i gestori degli interessi comuni.
Difatti, poiché la qualità culturale e la credibilità dei vari candidati a gestire la cosa pubblica ha subito più i riflessi dell’ignoranza che quelli dell’intelligenza e della preparazione, chiunque si sente in grado di essere capace di gestire meglio degli altri. Soprattutto se il termine di paragone delle capacità sta nella ricchezza personale che si può accumulare e nel potere di interdizione delle cose degli altri.
E’, difatti impensabile che, in un paese come Pachino con meno di undicimila voti validi espressi, ci possano essere 9 candidati a Sindaco, 22 assessori designati nella prima fase, 24 liste concorrenti e 474 persone che si sfidano per 20 posti di consigliere comunale.
E’ normale tutto questo?
Anche studiando e condividendo tutti i trattati di democrazia che osannano la partecipazione dei cittadini alla gestione della cosa pubblica verrebbe difficile credere che tutto questo sia frutto della normalità democratica e non di un impazzimento collettivo che ha eretto l’ improvvisazione a capo del proprio impegno nel politico e nel sociale.
Sia chiaro che non demonizziamo la partecipazione di larghi strati di cittadini a gestire la cosa pubblica perché sarebbe un grande successo per la democrazia, ma il fatto che ciò avvenga senza nessuna preparazione, conoscenza dei problemi e  riconoscimento che è l’inclusione dei più alle proprie idee e non lo strombazzare di frasi fatte e carpite qua e là che determinano le necessarie capacità.
Il tutto condito di ulteriori effetti  negativi per tutti i cittadini che saranno amministrati.
E’ quindi giunto il momento che si attuino riforme istituzionali capaci di regolarizzare in positivo l’accesso di tutti alla gestione della cosa pubblica creando anche le condizioni che le sorti delle comunità locali siano affidati a persone che abbiano le competenze, la capacità e la preparazione per bene operare pur fra le enormi difficoltà che detta attività comporta.
Solo se anche nella politica e nella gestione della cosa pubblica locale si ricominci a riproporre una certa professionalità che abbandoni l’improvvisazione e l’ignoranza si può sperare che si possa arrivare ad una soluzione dei problemi che privilegi la cosa pubblica e dia risposte positive nell’esclusivo interesse dei cittadini amministrati.
Il perdurare dell’ignoranza, dell’incompetenza e degli affarismi non lascia presagire niente di buono per le attuali e per le future generazioni.
Pippo Bufardeci
19.05.2014


martedì 22 aprile 2014


RENZI, SOLO UN CICLONE O ANCHE UN COSTRUTTORE?

Non vi è dubbio che l’attuale presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha portato una maggiore dinamicità all’azione politica e legislativa del nostro Paese.
Se questo alla lunga si dimostrerà un bene o un male lo vedremo.
Allo stato delle cose era necessaria una spinta di fattibilità e decisionale che non percorresse i canoni tradizionali delle decisioni concordate e decise con tutti i gruppi.
Anche se contrapposti e portatori di interessi contrastanti che rendevano poco incisive decisioni che necessitavano di urgenza e rapidità.
Possiamo non condividere le modalità da guascone del suo modus operandi, l’atteggiamento personalizzante della sua azione politica o la presenza di una reggia troppo poco avvezza a gestire carichi di responsabilità gravosi come quelli governativi, ma non possiamo non prendere atto che ha attuato una scossa importante e forse determinante nella prassi politica e governativa.
Ha iniziato dal suo partito emarginando in pochi mesi l’intero establishment che era arroccato da decenni nelle alte sfere decisionali rendendolo una specie di riserva indiana.
Ha cioè operato una rivoluzione senza effetti devastanti, quali una eventuale scissione, ed ha limitato i danni a qualche sporadica resistenza in sede di commissioni parlamentari o di direzione di partito.
Ha rotto il cordone ombellicale con i partitini e gruppetti della sinistra estrema spostando il PD su posizioni di centro.
Ha ignorato il forte potere di interdizione dei sindacati, soprattutto di quello storicamente più vicino alla sinistra e cioè la potente CGIL, proponendo interventi sul tema del lavoro e della politica sociale di stretta marca governativa.
Ha iniziato ad affrontare il tema della potente e impantanante burocrazia colpendola sia economicamente che nella struttura di potere.
Sta iniziando ad affrontare il problema giustizia non più in termini di contrapposizione personale, ma di capacità di rispondenza della stessa al servizio della Stato iniziando a discutere la parte economica del potere della casta giudiziaria.
Ha dato un segnale forte  a quanti si sono ecclissati nell’attesa di aspettare la sua caduta in tempi brevi spostando al 2018 la data della durata del suo Governo.
Parla di azione di governo popolare e non di classe o di casta come non sentivamo dai tempi della prima Repubblica.
Insomma una serie di cose che danno un volto nuovo ad un’azione politica e di Governo che il nostro Paese ha tanto bisogno che si realizzino per uscire dalla drammatica situazione in cui si trova per motivi interni ed internazionali.
Molti commendatori politici hanno parlato, come fatto positivo o negativo, delle sue origini di boy scout, di dirigente democristiano e popolare o di personaggio di spettacolo.
Certamente la cultura di ciascuno di noi non può essere eliminabile se in essa crediamo ed intorno ad essa costruiamo le nostre convinzioni di convivenza civile, ma non possiamo non prendere atto che, se Renzi saprà anche dialogare con coloro che possono remare nella giusta direzione, potremo sperare in  una nuova e positiva prospettiva degli interessi comuni.
Pippo Bufardeci
22/04/2014