Il bestiario di Pansa
Berlusconi prova a imitare il populismo del comico, ma il suo ormai è lo show vecchio di un leader prevedibile e a fine corsa
22/12/2012
di Giampaolo Pansa
Silvio Berlusconi sembra diventato il nonno di Beppe Grillo. E ogni giorno, per un sortilegio che cercherò di spiegare, tende sempre di più ad assomigliare al nipote. Non dal punto di vista fisico, naturalmente. Il Cavaliere è ben più anziano del capo delle Cinque Stelle. E ha un aspetto che l’incalzare dell’età, le tante ore di lavoro quotidiano indefesso, gli strapazzi pubblici e privati, rendono davvero poco bello a vedersi.
Come tutti gli esseri umani che cercano il consenso popolare, Berlusconi è sempre stato molto attento alla propria faccia. La voleva perfetta, giovanile, attraente, persino sexy. Ma oggi il suo volto è un disastro. Coperta in eccesso dal cerone, la pelle sembra di cartapesta. Gli occhi sono ridotti a fessure dentro una maschera troppo tesa allo scopo di nascondere le zampe di gallina. Le orecchie risultano tanto diafane da apparire ali di farfalla. I denti sono rovinati e rendono pericolosi i sorrisi.
Diciamo la verità: Grillo non è più un ragazzo, ma sembra davvero il nipote del Cavaliere. Questa estate ha persino attraversato a nuoto lo stretto di Messina per comiziare in Sicilia. Ma allora in che cosa Silvio è identico a Beppe? Soprattutto nella voglia di mostrarsi uguale a lui. Lo dice il populismo berlusconiano, greve, pesante, cupo, un’imitazione di quello grillino, più fantasioso e goliardico.
Berlusconi è sempre stato affascinato da Grillo. Nel settembre di quest’anno, partecipando alla crociera dei lettori del Giornale, in un lungo colloquio con Alessandro Sallusti di fronte alla platea dei naviganti, il Cavaliere aveva rivelato di studiare con attenzione i comizi di Grillo. Li riteneva spettacoli perfetti, con uno schema che non cambiava mai, sorretti da battute sempre uguali. Secondo Berlusconi era un copione scritto da qualcun altro, però molto efficace. Tanto da convincere Silvio ad adottarlo per farne l’arma vincente della propria campagna elettorale.
Lo spettacolo del Cavaliere crocerista veniva recitato quando la crisi del governo Monti era ancora lontana. Ma sin da quel momento Silvio ha iniziato a presentare il copione che in seguito avrebbe offerto di continuo al pubblico. Lo attestano le pagine del Giornale del 17 settembre. Via l’Imu, ho abolito l’Ici e toglierò anche la nuova tassa sulle case. Basta con i sacrifici e le imposte che deprimono la crescita. Ribellione ai diktat della Merkel. Guerra all’Europa che ci schiavizza. Condanna dei tecnici che si accucciano davanti alla Germania. E via delirando, sino a immaginare l’uscita dell’Italia dall’area dell’euro.
La campagna elettorale di oggi è la crociera di settembre, moltiplicata, indurita, rivolta agli italiani che mangiano televisione e vivono con la radio accesa. È su questi media che il grillismo di Berlusconi appare in tutta la sua geometrica potenza. Ma svela anche i lati deboli del Cavaliere 2012.
Il Silvio di questa fine d’anno è molto diverso dal Silvio sceso in campo nel 1994 e pure nel 2008. Adesso è un attore spompato che replica uno show già visto troppe volte. È permaloso («Monti non mi ha nemmeno telefonato per ringraziarmi di avergli proposto la guida dei moderati»). È bugiardo («Sono io che ho chiesto ai popolari europei di invitare Monti»). È spaccone («Il centro di Casini è soltanto un centrino»). È vendicativo, perché si propone di fare polpette dei parlamentari tentati di abbandonarlo. È insultante («Monti si fa guidare dalla Merkel»).
Ma è soprattutto un leader disperato. Nel 2007 aveva costruito una bomba nucleare, il Pdl, che gli era servita per il trionfo elettorale del 2008. Quattro anni dopo quell’arma non esiste più. È diventata un residuato bellico. Incrinato da molte fughe individuali, come quella di Gianfranco Fini e dei suoi fedeli, e oggi dalla scissione pesante dei Fratelli d’Italia che si portano via una fetta robusta di Alleanza nazionale. Con il contorno malvagio di sondaggi da funerale.
Tuttavia, credo che la disperazione più profonda del Cavaliere venga dal constatare che la fortuna lo ha abbandonato. Alla vigilia del 1994, Silvio era un grande imprenditore televisivo rispettato da mezzo mondo. Aveva un seguito grandioso di tifosi che amavano le sue tivù. Era portato in palma di mano dall’intera business community, ossia da tanti padroni del vapore. Oggi è l’ombra di se stesso. A conferma di una verità implacabile: non si può essere l’uomo di tutte le stagioni.
A rovinarlo non sono stati soltanto gli eccessi con ragazze pimpanti. La sua vera sconfitta è l’incapacità di concretare la rivoluzione liberale sempre promessa e mai attuata. Insieme al vizio innato di non dire la verità, quando gli conviene sostenere il falso. Molti ricorderanno che cosa affermava nell’autunno 2011, mentre la tempesta globale stava già assalendo l’Italia: «La crisi non esiste. I ristoranti sono strapieni e gli aerei tutti prenotati». Adesso è un ex potente, ridotto a mendicare una comparsata da Michele Santoro, il televisionista che impose di cacciare dalla Rai con l’editto bulgaro.
La speranza di essere ammesso al talk show santorista svela un’altra delle piaghe che affliggono il berlusconismo odierno. È l’ideologia debole fondata sull’illusione che le presunte virtù di un capo servano da sole a vincere la guerra elettorale. Eppure lo stare molto in tivù accresce il rischio di commettere errori. E induce una noia profonda per un vecchio leader che ripete le stesse battute.
Nel Cavaliere odierno tutto è prevedibile. Si può essere certi che se il premier Monti deciderà davvero di non candidarsi, Silvio sarà il primo a urlare: «È merito mio!». Si affannerà a spiegare che l’uscita di scena del Professore e dei suoi tecnici è un bene per l’Italia, poiché sono loro ad aver mandato il Paese in recessione. E troverà chi è pronto a dargli spago. Il nostro è un curioso Paese. Dove non mancano quelli che dovrebbero congratularsi con il vigile del fuoco che li ha salvati da un incendio distruttivo e invece si dichiarano felici di veder sparire la squadra dei pompieri.
Monti sì o Monti no, sotto gli occhi di tutti c’è una tragica realtà. Il sistema politico italiano non è più in equilibrio. Sul versante di sinistra esiste un asse robusto costituito dal Pd di Bersani e dalla Sel di Vendola. Quel campo sarà dominato da loro, non certo dagli Arancioni guidati dal fosco pubblico ministero Ingroia. Il centro, se davvero risulterà orfano di Monti, è destinato a contare poco. Sul versante di destra non vedremo nessuna formazione in grado di offrire agli elettori una forza moderata in grado di aspirare al governo. Ci sarà il superstite Berlusconi, il partito degli ex An appena fondato da La Russa, la Lega di Maroni, più qualche altra parrocchietta. Molto lontani da un’alleanza che li unisca per davvero.
Per il Cavaliere sarà assai difficile vincere. Si troverà schiacciato tra le Cinque stelle di Grillo e la sinistra di Bersani. Il blocco del Pd più Sel è simile alla Juventus di Antonio Conte: ha fame di vittoria, la sente vicina e cercherà di mandare al tappeto tutti gli avversari, con ogni mezzo.
Se davvero andrà così, le elezioni del 2013 saranno la tomba di Berlusconi. E allora, forse, il Cavaliere metterà giudizio. Dopo tante battaglie, potrà riposarsi. La sua solitudine personale è finita. Ha trovato anche una fidanzata molto giovane, evento non disprezzabile per un signore di 76 anni. Si prenda cura di lei e di se stesso. Il Bestiario gli augura buona fortuna.
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