mercoledì 4 febbraio 2015



DAL POPULISMO AL POPOLARISMO

In questi giorni di fervore politico – istituzionale che ha visto Sergio Mattarella salire sul più alto scanno della Repubblica, si è molto parlato di politica e sul suo vero significato.
E’ già un buon inizio perché, forse involontariamente,  sia la stampa che le istituzioni ed i partiti con i movimenti vari, hanno messo l’accento sulla vera fonte della crisi istituzionale e  politica che ha attraversato ed ancora impregna la nostra società.
L’assenza della vera politica ha determinato la mancanza di una visione dei problemi rispondente alle reali esigenze dei cittadini e della giusta strategia economica, sociale ed istituzionale per superarla e dominarla.
Tutto questo non poteva non portare che ad un approccio strettamente populista del problema con risposte capaci solo di cavalcare l’umore delle persone piuttosto che la loro razionalità.
L’umore è stato ed è funzionale alla ricerca del consenso mentre la razionalità necessita di un confronto sui problemi reali e sulle soluzioni conducenti.
Naturalmente è stato più facile nascondere l’assenza delle risposte serie ai problemi e l’incapacità culturale delle elaborazioni su basi prospettiche e sostanziali della crescita di una nazione creando un movimento di elucubrazione dei problemi piuttosto che una presa di coscienza della realtà in cui ci siamo trovati.
Con le mancate risposte si è anche nascosta la mancanza di una cultura politica che è la precondizione necessaria affinchè un politico sia tale nel partito,nelle istituzionale e nel sociale e non resti sempre un semplice galoppino elettorale anche se arriva a sedersi su posti di grande responsabilità.
La mancanza di una cultura politica che si richiama ad un progetto di società condiviso e conducente per gli obiettivi di sviluppo ha caratterizzato l’azione dei politici della nuova Repubblica che ed ha impregnato gli ultimi decenni della vita politica italiana.
Questa stessa mancanza ha prodotto una esasperazione leaderistica della politica con una sostanziale scelta fideistica rispetto al capo senza una autonomia di pensiero e di critica da parte dei seguaci per cui il credo politico – culturale si è confuso con l’omaggio al capo e con l’amplificazione ossessiva di tutte le sue baggianate.
Il dato ancora più negativo, nel nostro sistema, è stato che questo modo di intendere l’azione politica, non è stato appannaggio di una singola forza magari emarginata, ma ha pervaso tutto lo schieramento politico italiano.
Ciò ha prodotto un sistema in cui gli interessi politico - strategici dei vari leader sono stati primari rispetto alla necessità di avere una aggregazione di politici tenuti assieme da una comune visione culturale e politica in base alla quale si sarebbero dovuti elaborare soluzioni ai problemi.
La prima Repubblica aveva sempre respinto l’idea leaderistica della politica anche quando ci si trovava di fronte a leader carismatici perché era predominante il senso di appartenenza ad un progetto di elaborazioni politiche aggreganti rispetto alla simpatia o alla forza persuasiva o economica del capo.
Tutto questo ha portato, in virtù della inclusività di questo modo di intendere l’agire politico, alla formazione di classi dirigenti non dipendenti dal leader e capaci di sopravvivere allo stesso perché autonomi nel pensiero e nell’azione.
Non è un caso se, nei momenti di maggiore difficoltà istituzionale, non si trovano punti di riferimento idonei fra i rappresentanti della cosiddetta seconda Repubblica e si deve sempre ricorrere a chi ha vissuto l’agire politico formandosi sulla cultura politico – istituzionale delle famiglie socialiste e cattolico – democristiane che, non a caso, ancora in Europa rappresentano la politica attuale.
La elezione di Mattarella a presidente della Repubblica testimonia che ancora non tutto è perduto nello scivolamento verso la deriva populistica inconcludente ed evanescente, ma si può ridiventare attori del nostro destino e delle tematiche politiche ed istituzionali ricominciando ad agire secondo visioni culturali e progetti univoci capaci di aggregare cittadini e di prospettare tesi comuni.
In questo nuovo contesto emerge tutta la forza prospettica, oltre che storica, del popolarismo come derivazione politica della dottrina sociale cristiana che rimane una pietra miliare nella vita sociale, economica e culturale del nostro tempo.
Quindi adesso, anche con la rivisitazione di quanto di buono emerge dal revisionismo della dottrina socialista così come si è evoluta negli ultimi decenni, sarà più facile abbandonare l’inutile populismo per rispondere alle esigenze dei cittadini ed al loro futuro con i cardini essenziali del popolarismo e delle culture che valorizzano la democrazia e la partecipazione intese come unioni di soggetti liberi ed aggregati su visini condivise e non sulla assuefazione alle parole chiave del leader o su impulsi effimeri ed umorali. 
04/02/ 2015                                                                                                       Pippo Bufardeci

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