DAL POPULISMO AL POPOLARISMO
In questi giorni di fervore politico – istituzionale che ha
visto Sergio Mattarella salire sul più alto scanno della Repubblica, si è molto
parlato di politica e sul suo vero significato.
E’ già un buon inizio perché, forse involontariamente, sia la stampa che le istituzioni ed i partiti
con i movimenti vari, hanno messo l’accento sulla vera fonte della crisi
istituzionale e politica che ha
attraversato ed ancora impregna la nostra società.
L’assenza della vera politica ha determinato la mancanza di
una visione dei problemi rispondente alle reali esigenze dei cittadini e della
giusta strategia economica, sociale ed istituzionale per superarla e dominarla.
Tutto questo non poteva non portare che ad un approccio
strettamente populista del problema con risposte capaci solo di cavalcare
l’umore delle persone piuttosto che la loro razionalità.
L’umore è stato ed è funzionale alla ricerca del consenso
mentre la razionalità necessita di un confronto sui problemi reali e sulle
soluzioni conducenti.
Naturalmente è stato più facile nascondere l’assenza delle
risposte serie ai problemi e l’incapacità culturale delle elaborazioni su basi
prospettiche e sostanziali della crescita di una nazione creando un movimento
di elucubrazione dei problemi piuttosto che una presa di coscienza della realtà
in cui ci siamo trovati.
Con le mancate risposte si è anche nascosta la mancanza di
una cultura politica che è la precondizione necessaria affinchè un politico sia
tale nel partito,nelle istituzionale e nel sociale e non resti sempre un
semplice galoppino elettorale anche se arriva a sedersi su posti di grande
responsabilità.
La mancanza di una cultura politica che si richiama ad un
progetto di società condiviso e conducente per gli obiettivi di sviluppo ha
caratterizzato l’azione dei politici della nuova Repubblica che ed ha
impregnato gli ultimi decenni della vita politica italiana.
Questa stessa mancanza ha prodotto una esasperazione
leaderistica della politica con una sostanziale scelta fideistica rispetto al
capo senza una autonomia di pensiero e di critica da parte dei seguaci per cui
il credo politico – culturale si è confuso con l’omaggio al capo e con
l’amplificazione ossessiva di tutte le sue baggianate.
Il dato ancora più negativo, nel nostro sistema, è stato che
questo modo di intendere l’azione politica, non è stato appannaggio di una
singola forza magari emarginata, ma ha pervaso tutto lo schieramento politico
italiano.
Ciò ha prodotto un sistema in cui gli interessi politico -
strategici dei vari leader sono stati primari rispetto alla necessità di avere
una aggregazione di politici tenuti assieme da una comune visione culturale e
politica in base alla quale si sarebbero dovuti elaborare soluzioni ai
problemi.
La prima Repubblica aveva sempre respinto l’idea leaderistica
della politica anche quando ci si trovava di fronte a leader carismatici perché
era predominante il senso di appartenenza ad un progetto di elaborazioni
politiche aggreganti rispetto alla simpatia o alla forza persuasiva o economica
del capo.
Tutto questo ha portato, in virtù della inclusività di questo
modo di intendere l’agire politico, alla formazione di classi dirigenti non
dipendenti dal leader e capaci di sopravvivere allo stesso perché autonomi nel
pensiero e nell’azione.
Non è un caso se, nei momenti di maggiore difficoltà
istituzionale, non si trovano punti di riferimento idonei fra i rappresentanti
della cosiddetta seconda Repubblica e si deve sempre ricorrere a chi ha vissuto
l’agire politico formandosi sulla cultura politico – istituzionale delle
famiglie socialiste e cattolico – democristiane che, non a caso, ancora in
Europa rappresentano la politica attuale.
La elezione di Mattarella a presidente della Repubblica
testimonia che ancora non tutto è perduto nello scivolamento verso la deriva
populistica inconcludente ed evanescente, ma si può ridiventare attori del
nostro destino e delle tematiche politiche ed istituzionali ricominciando ad
agire secondo visioni culturali e progetti univoci capaci di aggregare
cittadini e di prospettare tesi comuni.
In questo nuovo contesto emerge tutta la forza prospettica,
oltre che storica, del popolarismo come derivazione politica della dottrina
sociale cristiana che rimane una pietra miliare nella vita sociale, economica e
culturale del nostro tempo.
Quindi adesso, anche con la rivisitazione di quanto di buono
emerge dal revisionismo della dottrina socialista così come si è evoluta negli
ultimi decenni, sarà più facile abbandonare l’inutile populismo per rispondere
alle esigenze dei cittadini ed al loro futuro con i cardini essenziali del
popolarismo e delle culture che valorizzano la democrazia e la partecipazione
intese come unioni di soggetti liberi ed aggregati su visini condivise e non
sulla assuefazione alle parole chiave del leader o su impulsi effimeri ed
umorali.
04/02/ 2015
Pippo Bufardeci
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