L’IRA DI MUSUMECI È DA BAMBINO CAPRICCIOSO
giovedì 13 gennaio 2022
giovedì 30 dicembre 2021
DALLA DEMOCRAZIA ELETTIVA ALLA PARTECIPATA
Il passaggio dalla prima
alla seconda Repubblica non si è caratterizzato solo per lo stravolgimento
politico che si è creato, ma soprattutto per ciò che ha rappresentato sul piano
del rapporto fra i cittadini elettori e gli eletti.
Nella prima repubblica il
cittadino elettore non solo sceglieva il proprio rappresentante nelle istituzioni
attraverso la individuazione di un nome fra i tanti proposti, avvalendosi della
segnatura della propria preferenza, ma concorreva a determinare la composizione
della stessa lista attraverso una partecipazione attiva.
La partecipazione attiva
si estrinsecava nell’ambito delle strutture dei partiti attraverso le tante
assemblee ai vari livelli territoriali e statutari, ma anche attraverso le
varie associazioni rappresentative delle esigenze sociali, economiche e
categoriali.
Il sistema proporzionale
assicurava, pur con i suoi limiti, la individuazione dei candidati, la scelta
del singolo rappresentante e la rappresentanza delle varie articolazioni della
società.
Questo sistema assicurava
un rapporto diretto e continuo fra il territorio, l’eletto ed i suoi elettori.
Il sistema maggioritario
e l’assenza della espressione della preferenza hanno determinato le condizioni
dell’arroccamento fra gruppi anche disomogenei al loro interno, ma sommatisi
elettoralmente per garantire l’aspetto matematico e non politico e per poter
vincere le elezioni.
Dalla democrazia
rappresentativa e partecipata siamo passati alla democrazia solamente elettiva.
L’organizzazione
piramidale dei gruppi politici ha portato la proposta politica a rivedersi in
un personaggio leader del gruppo capace di dettare le indicazioni di voto senza
una proposta politica condivisa con le comunità che si vogliono rappresentare e
senza alcuna partecipazione dei cittadini.
I cittadini hanno smesso
di conoscere e di riconoscersi nell’eletto loro rappresentante perché è stato
scelto dall’alto, spesso lontano dal territorio e preoccupato solo di
ossequiare il capo che lo dovrebbe rimettere in lista e gli elettori devono
solo fare un segno della croce sulla scheda.
Le prossime elezioni,
indipendentemente dalla data di svolgimento, continueranno a perpetuare questo
atipico sistema elettorale che è ritenuto meno importante dei sondaggi e dà
solo parvenze di democrazia in quanto la cosiddetta stabilità, quasi mai
verificatesi, è ritenuta, strumentalmente, meno importante della democrazia
Sono consapevole che,
allo stato delle cose, difficilmente verrà cambiato il sistema elettorale a
favore dei cittadini elettori perché toglierebbe il potere monarchico al capo
squadra e la gioia di avere sudditi al posto degli elettori.
Solo se avessero il
coraggio di fare ciò che dicono e non fanno mai, si potrebbe concretizzare un
grande passo avanti verso la partecipazione dei cittadini alla determinazione
della propria rappresentanza con una semplice modifica alla legge elettorale.
Basterebbe, allo stato, inserire
il sistema del ballottaggio fra i due candidati che, nel collegio, hanno ottenuto
i due maggiori quozienti, come avviene per i sindaci, e si ripristinerebbe in
parte la capacità di scelta degli elettori, un rapporto più diretto fra eletto
e territorio e un impegno istituzionale con maggiore conoscenza delle
problematiche locali. Male cose semplici non sono di questo mondo.
Pippo Bufardeci
sabato 2 ottobre 2021
GLI ARTIGLI DELLA LEGA SUL PROGETTO INTEL IN SICILIA
IL LAVORO VA SEMPRE AL NORD? TACCIONO I SICULI-LEGHISTI
Il
progetto della multinazionale Intel di posizionare un proprio stabilimento di
microelettronica in Italia, nell’ambito della strategia europea per lo
sviluppo, l’occupazione e la competitività della propria economia, ha già
evidenziato gli artigli leghisti che, per bocca del ministro leghista allo
sviluppo economico Giorgetti, assegnano prioritariamente al Piemonte questa
opportunità di ulteriore sviluppo.
Si
fanno quindi benedire tutti i proclami leghisti a favore del Sud e della
Sicilia e dimostrano la falsità di un’azione politica che, puntando sulla
consolidata storica disponibilità servile degli ascari locali, mira solamente a
raccogliere quanti più consensi possibili al Sud per utilizzarli a favore degli
interessi esclusivi del Nord.
Eppure
questa volta non possono dirci che vogliamo costruire cattedrali nel deserto.
Non possono dirci che non abbiamo pronti i siti necessari per l’insediamento.
Non possono dirci che non abbiamo le esperienze, le competenze, i centri di
ricerca idonei, le professionalità, le competenze universitarie e persino il
capitale umano ai vari livelli da utilizzare.
Il
sito dell’Etna Valley, dove già opera da molti anni la STMicroelectronis ed
altre aziende già impegnate nel settore strategico della nanotecnologia e della
microelettronica, così come la zona industriale del siracusano, come ha
proposta il sindaco di Priolo Pippo Gianni, con le sue strutture ed i suoi
capannoni già disponibili, potrebbero in sinergia, rappresentare le condizioni
più idonee per l’allocazione del sito della INTEL.
Potrebbe
essere questa una concreta e fattibile soluzione per determinare le migliori
condizioni di sviluppo per il Sud e la Sicilia basato sull’innovazione
tecnologica e sulla produzione di elementi fondanti per l’economia del futuro.
Eppure
c’è chi, come la Lega, lavora sempre per depredare il Sud e la Sicilia a favore
degli interessi del Nord lasciando lo sviluppo economico del nostro territorio
all’elemosina del reddito di cittadinanza anche se, a parole, ne chiede la
soppressione, ma nei fatti ci impedisce di superarlo con lo sviluppo serio,
vero e concreto e con la conseguente occupazione frutto di lavoro stabile e
prospettico.
Su
tutto questo la pseudo classe politica meridionale, passata velocemente al
servizio degli interessi elettorali della Lega, tace senza ritegno.
Questo
treno importante non può passare con la passività complice dei meridionali, ma
deve essere difeso con le unghie ed i denti perché potrebbe essere
definitivamente l’ultimo.
Basta
con le logiche dei partiti e con gli interessi di bottega, ma necessita una
strategia d’insieme per impedire ulteriore arretratezza del meridione e
depauperamento del suo tessuto umano.
Sr
02/10/2021
PIPPO BUFARDECI
domenica 6 giugno 2021
GLI ELETTORI POLITICAMENETE ZOMBI RATIFICANO QUELLO
DECISO DA ALTRI
Una amministrazione comunale qualsiasi ed il sindaco,
in particolare, deve essere l’espressione diretta di un territorio che non è soltanto
ricevere il consenso dei cittadini, ma deve conoscere i problemi del comune che
deve amministrare ed i cittadini devono riconoscersi in chi li amministra.
Da qualche decennio a questa parte i cittadini votano
un determinato candidato senza averlo scelto e, spesso, senza nemmeno
conoscerlo.
Ciò perché siamo passati, in tutte le elezioni, tranne
che per le regionali dove resiste il proporzionale e la preferenza, dalla
democrazia della partecipazione alla democrazia del consenso.
I cittadini elettori non scelgono chi li deve
amministrare attraverso la conoscenza e la scelta, con una preferenza diretta, per
affidagli le sorti del proprio comune o degli altri organismi elettivi.
I cittadini sono solo chiamati a dare il loro consenso
alle scelte operate da altri senza alcuna possibilità di intervento in fase di
votazione per cui è come se inserissero nell’urna una scheda già votata.
L’elettore diventa quindi non più colui che incide
sulla sostanza della scelta politica che opera votando, ma un campione
statistico che assegna agli eletti ed ai partiti la percentuale di voti che li
fa eleggere o sconfiggere.
E l’eletto non risponde più ai cittadini elettori, ma
a coloro che lo hanno indicato per il compito ratificato dagli elettori senza
altra alternativa possibile.
Né possiamo dire che l’alternativa è rappresentata
dagli altri candidati perché anche loro sono scelti senza alcuna partecipazione
dei cittadini e comunque l’alternativa improntata solo sul paino dei singoli
soggetti elimina le motivazioni culturale e la visione sociale che i candidati
devono possedere per le proposte di soluzione dei problemi inserite nei loro
programmi.
Lo sfacelo dei partiti e dei gruppi portatori di
istanze culturali e politiche hanno determinato un modo di aggregazione del
consenso sul piano del leader o del gruppo di interessi momentanei secondo un
sistema di tifoseria e non di aggregazione su idee e prospettive.
Siamo passati da una democrazia partecipata ad una
democrazia del semplice consenso alle scelte immodificabili operate da soggetti
che decidono senza essersi sottoposti al giudizio dei cittadini. Vedi il ruolo
svolto da Bertini, per il PD, nell’ultima crisi di Governo senza che avesse mai
avuto un’investitura da parte dei soci di quel partito o dai suoi elettori o
dagli organismi interni.
Basta anche seguire il balletto delle candidature per
le prossime elezioni amministrative, soprattutto per i comuni a forte
consistenza di popolazione per rendersi conto dell’aberrazione dei metodi usati
per la scelta deli candidati sindaci.
I grandi assenti sono solo i cittadini che non
partecipano a nessuna scelta in quanto è strettamente di competenza di
personaggi, organismi appiccicaticci, di interessi vari di gruppi politici,
economici o di varia natura che determinano la candidatura e poi l’azione
funzionale nell’ente pubblico del soggetto che va mandato, come un corpo
estraneo, al cospetto del falsificato consenso del cittadino che scimmiotta il
suo diritto primario di scelta.
Anche la situazione della città di Siracusa
rappresenta un caso anomalo di investitura politica di un rapporto cittadini –
sindaco la cui azione non passa attraverso nessun controllo popolare, anche se avverrebbe
tramite gli eletti in consiglio comunale, perché un commissario esterno non è
né il popolo né portatore di interessi della cittadinanza che si amministra.
E’ chiaro che dal punto di vista giuridico l’attuale
Sindaco di Siracusa non lede nessuna norma, ma politicamente è menomato perché
la sua rappresentanza delle istanze popolari non può passare solo attraverso i
componenti la giunta municipale da lui stesso scelti o suggeriti o imposti da
gruppi esterni così come il rapporto con un funzionario esterno a Siracusa, che
svolge il ruolo di commissario, non può sostituire il consiglio comunale come
organismo di rappresentanza delle istanze dei cittadini.
Bisogna che la normativa che sopraintende alle
situazioni regolamentari verificatesi a Siracusa con l’autoscioglimento, per
dolo del consiglio comunale, deve prevedere una immediata rielezione del
consiglio decaduto magari impedendo la rielezione dei consiglieri che ne hanno
provocato la decadenza.
Ma una politica nominativa di leader senza
partecipazione della base e senza i fondamentali culturali di una ideologia che
aggreghi e faccia partecipare i cittadini e non i tifosi del momento, hanno la
volontà di cambiare ed eliminare le gravi distorsioni del sistema?
Pensiamo proprio di no.
Siracusa 17/05/2021
Pippo Bufardeci
domenica 17 gennaio 2021
mercoledì 30 dicembre 2020
DOPO ELEZIONI E
REFERENDUM, ADESSO L’ITALIA REALE
l’abbuffata elettorale ha
attraversato il Paese e la politica con la solita scia di inutili discussioni
frutto del degrado in cui si trova ormai la società italiana nel suo complesso.
Tutti vincitori, tutti
capaci di essere gli unici depositari del consenso e della volontà dei
cittadini, tutti con il carniere pieno di ricette miracolose per risolvere i
problemi del Paese, ma nessuno in grado di indicare una prospettiva concreta e
fattibile di ripresa del nostro sistema sociale ed economico.
Tutto questo in una fase
storica che dovrà necessariamente distinguersi per la capacità di individuare e
realizzare una visione strategica del progetto di crescita del nostro Paese
alla luce del futuro riassetto degli equilibri mondiali.
Ciò dopo la forte crisi
economica che abbiamo vissuto nel decennio precedente e la subdola incidenza
del coronavirus che dobbiamo metabolizzare come un tornado non solo di natura
sanitaria, ma sociale, economico e politico – istituzionale.
Serve quindi un Governo
che abbandoni i retaggi di natura ideologica su alcune scelte importanti che
rischiano di bloccare decisioni capaci di incidere su vitali settori del
sistema Paese e serve soprattutto una visione del fare che non punti a mettere
l’etichetta di questa o di quella forza che sostiene l’esecutivo, ma l’insieme
della maggioranza che ne permette la tenuta.
Per fare questo serve una
riquadratura organizzativa e propositiva di tutte le forze politiche capaci di
privilegiare il progetto complessivo di crescita dell’intero Paese non
subordinato agli interessi dei territori forti né agli slogans ad effetto.
Ma serve anche una
opposizione che si cimenti per essere forza di Governo e non semplicemente
barricadiera, amplificatrice di timori e paure o conflittuale con tutti e su
tutto.
E’ difficile costruire
dopo che si è distrutto anche da parte di chi si ritiene capace di risolvere
tutti i problemi.
Ritengo che nei due
schieramenti di governo e di opposizione ci siano forze politiche ed elementi
singoli capaci di svolgere un ruolo di moderazione e di azione che veda come
prioritario l’interesse del Paese rispetto a quello delle singole forze
politiche.
Il confronto sulle
strategie da mettere in campo e sulle cose da fare diventa ancora più necessario
ed utile se si considera che, alla fine della tornata elettorale, finita in
parità numerica, il rapporto Stato Regioni non può essere imposto da nessuno in
quanto la variegata gestione politica delle regioni, impone un confronto
serrato, ma serio e conducente allo sviluppo globale dell’intera comunità
nazionale.
Le recenti elezioni hanno
anche evidenziato una debolezza politica del Governo che, paradossalmente,
diventa la sua forza d’azione in quanto l’esito del referendum che diminuisce
il numero dei parlamentari assicura una durata d’azione che potrà portare fino
alla data di chiusura costituzionale della legislatura.
Ecco perché, da parte del Governo, è necessario rendere noto il programma di cose da fare con tempi e finanziamenti individuati per permettere il controllo da parte delle opposizioni, ma soprattutto da parte dei cittadini che devono essere partecipi e corresponsabili degli sforzi che necessita l’attuale momento storico per rimettere in carreggiata, tutti insieme, il veicolo Italia.
Ma assieme alla
individuazione dei progetti di sviluppo da realizzare, bisogna che il Governo
elabori una nuova normativa sugli enti locali che ne permetta il funzionamento
e la capacità finanziaria per rispondere ai problemi del mantenimento della
struttura e dei servizi da erogare ai cittadini.
La normativa deve dare
assicurazioni che non venga mai meno il controllo popolare dell’ente locale in
quanto essendo il primo organo costituzionale che si confronta con le esigenze
dei cittadini non può subire, per normative poco accorte come lo scioglimento o
per motivi di mafia non appurati da organismi della magistratura o per
negligenza degli amministratori e consiglieri che determinano lo scioglimento
degli Enti, si possa arrivare a gestioni solitarie dei sindaci o di commissari
nominati per gestire comunità senza confronto con i cittadini.
Nell’un caso o nell’altro bisogna che, rimasti
solo i sindaci, si provveda all’immediata rielezione dei consigli comunali o
nel caso dei commissari si elegga una rappresentanza cittadina capace di essere
attiva sia nel controllo che nelle proposte.
In tutti e due i casi si
eviterebbe il sospetto che, senza un controllo istituzionale da parte dei
cittadini, si possa avere il sospetto che l’interlocuzione non controllata
democraticamente possa lasciare la gestione dell’Ente all’influenza di gruppi
economici, massonici o delinquenziali che potrebbero avere vita più facile nel
convincere pochi esponenti delle istituzioni.
Anzi, gli organismi
elettivi, a livello locale, dovrebbero essere più numerosi nel numero dei
rappresentanti per evitare connivenze dei pochi e indicare una normativa chiara
su compiti e responsabilità.
Anche l’aspetto giuridico
relativo al compenso va inquadrato come attività di servizio del consigliere
verso il proprio paese e remunerato solo con il gettone di presenza nelle
riunioni di consiglio comunale.
Vi è molta carne al fuoco
che presuppone capacità politica e gestionale da parte dei rappresentanti dei
cittadini che devono essere, non solo preparati al ruolo che dovranno svolgere,
ma anche scelti direttamente dagli elettori con la preferenza e non nominati
dai capi e capetti di turno dei partiti.
Pippo Bufardeci 28/09/2020
(Per il periodico Timeout
di Siracusa)
sabato 31 ottobre 2020
SENATO DELLA REPUBBLICA
XVIII LEGISLATURA
DISEGNO DI LEGGE
d'iniziativa del Senatore Faraone
Riconoscimento del luogo familiare di origine
( Su mia proposta il sen. Davide Faraone, presidente del gruppo del Senato di Italia Viva, ha presentato il disegno di legge con il quale si propone che i comuni riprendano il loro diritto di registrare i propri cittadini come nati nel comune di provenienza e non come imposizione del luogo di nascita nel comune in cui è ubicato l'ospedale nel quale viene effettuato il parto)
Onorevoli Senatrici e Senatori.
- Il presente disegno di legge mira a tutelare il diritto di ogni individuo al
riconoscimento del luogo familiare di origine e, al contempo, a preservarne il
radicamento territoriale.
Con la presente proposta di
legge, pertanto, si mira a tutelare la duplice finalità di contrastare
l'imposizione del comune di nascita, inteso come luogo ove è ubicato l'ospedale
nel quale è avvenuto il parto, a favore di una libera scelta tra il suddetto e
il comune familiare di origine e, al contempo, di evitare la perdita della
memoria storica delle molteplici piccole realtà che da sempre caratterizzano il
nostro Paese.
L'anagrafe è
un registro della popolazione, una fonte informativa di primaria importanza che
adempie a molteplici scopi, quali fini statistici, elettorali, tributari, ma
soprattutto, tramite la denuncia della nascita dei neonati, fornisce uno stato
giuridico e conferisce una identità a questi ultimi, inquadrandoli in un
determinato territorio.
Sebbene
l'istituzione dell'anagrafe, nella sua più moderna accezione, costituisca un
fatto relativamente recente, questa affonda in realtà le sue radici in tempi
ben più remoti, riconducibili ai tempi della pratica dei censimenti.
Difatti, nonostante
avessero una portata più limitata e scopi non del tutto analoghi, già
nell'antico Egitto, nell'antica Grecia e nell'antica Roma furono messi a punto sistemi
di rilevazione e di registrazione censuaria al fine di stilare delle liste che
consentissero di determinare la numerosità della popolazione, la loro
composizione sociale e i mutamenti demografici, a fini tributari, militari, etc.
Tale pratica
cominciò a decadere nel Medio Evo, quando i censimenti non furono più
effettuati su vasti territori ma piuttosto su singole località, per poi
ripresentarsi con maggior vigore con il Concilio di Trento del 1563, grazie al
quale le rilevazioni demografiche divennero uno strumento utilizzato in maniera
diffusa e sistematica.
In Italia il
servizio anagrafico, funzionante sulla base di registri comunali della
popolazione e dotato di un apposito ufficio di riferimento denominato
"Ufficio delle Anagrafi", fu istituito con il regio decreto del 31
dicembre 1864, n. 2015. Tuttavia, l'implementazione di tale servizio risultò
più ardua della sua stessa istituzione e così, prima che divenne effettivamente
ed uniformemente operativo su tutto il territorio nazionale, furono adottati
altri regi decreti e si dovette attendere fino al 1873, quando venne pubblicato
il nuovo regolamento.
Ad oggi, funzione
dell'anagrafe è quella di registrare nominativamente gli abitanti di un
determinato Comune, sia come singoli individui sia come componenti di un nucleo
familiare, illustrandone anche le caratteristiche naturali e sociali, allo
scopo di rilevare i mutamenti demografici.
Alla luce delle
funzioni fondamentali ricoperte dall'anagrafe, la legge italiana prevede
l'obbligo di denunciare la nascita dei neonati entro il termine di tre giorni
dalla nascita direttamente presso la struttura sanitaria nella quale è nato,
oppure entro dieci giorni presso l'ufficio di stato civile del comune dove è
avvenuta la nascita o in quello del comune di residenza dei genitori, in
conformità con quanto disposto dall'articolo 30, comma 4, del decreto del
Presidente della Repubblica del 3 novembre 2000, n. 396.
Tuttavia, se
i genitori del neonato sono residenti in un comune differente rispetto a quello
dove è ubicata la struttura sanitaria in cui è avvenuta la nascita, l'ufficiale
di stato civile trascrive d'ufficio l'atto nel comune di residenza dei genitori.
Ciò che ne consegue è che il neonato viene registrato come nato in un comune
diverso rispetto a quello dove viene iscritta la sua residenza.
Considerato
che la primaria funzione dell'anagrafe è quella di attribuire un riconoscimento
e uno stato giuridico al neonato, appare paradossale conferire a quest'ultimo un
comune di nascita differente da quello dove avrà luogo la sua prima residenza e
che, soprattutto, non coincide con la sua identità geografica.
Tale
situazione, lungi dall'essere sporadica, si verifica costantemente in
moltissime realtà presenti sull'intero territorio nazionale e, per la
precisione, ogni qualvolta la nascita avvenga in un Comune privo di una
struttura ospedaliera o comunque sprovvisto di una struttura adeguatamente
attrezzata.
Tale
fenomeno, però, si è andato ulteriormente intensificando nel tempo, in seguito
all'adozione di una serie di provvedimenti regionali che si inseriscono nel
quadro del "Patto per la salute 2010-2012" siglato il 3 dicembre 2009
tra Governo, Regioni e Province autonome di Trento e di Bolzano, finalizzato a
promuovere un processo di riorganizzazione delle reti regionali di assistenza
ospedaliera, al fine di migliorare la qualità dei servizi e delle prestazioni
offerte e di ottimizzare e non disperdere le risorse a disposizione.
In particolare, l'allegato 1
dell'accordo della conferenza unificata del 16 dicembre 2010, ai sensi
dell'articolo 9 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, prevede il
mantenimento o l'attivazione dei punti nascita in base a degli standard
prettamente quantitativi, fissando a 1000 nascite annuali il parametro cui
tendere, prevedendo delle eccezioni per i punti nascita con numerosità
inferiore, ma comunque non al di sotto di 500 parti annui, sulla base di
motivate valutazioni legate alla specificità territoriali.
In conseguenza della
chiusura dei punti nascita impossibilitati a rispettare la suddetta soglia, unitamente
al fatto che le pratiche di assistenza domiciliari alla nascita sono oramai da
tempo in disuso, si assiste a un flusso sempre più abbondante delle future
madri costrette a spostarsi dai propri comuni di residenza verso comuni di maggiori
dimensioni muniti di strutture ospedaliere adeguate a prestare assistenza al
parto.
Di conseguenza, i casi di discrasia
tra il luogo di origine, ovvero il luogo di provenienza della propria famiglia,
e quello di nascita, sono destinati ad aumentare nel tempo.
Tale situazione non è però rimasta
priva di conseguenze, in quanto ha determinato un ingorgo anagrafico, oltre a tangibili
incongruenze storico-sociali.
L'ingorgo anagrafico è
dovuto al fatto che i genitori dei nuovi nati sono obbligati ad indicare quale
luogo di nascita il comune in cui è ubicato l'ospedale. Tra i principali
problemi riscontrabili e imputabili a tale ingorgo anagrafico, vi è che in tali
comuni si registra uno scostamento tra le nuove nascite che vengono registrate e
le persone che sono effettivamente residenti, generando significativi effetti
distorsivi anche a fini statistici. Inoltre, ciò comporta un disfunzionamento
amministrativo per tutti i cittadini residenti in un comune diverso da quello
di nascita, in quanto, per qualsiasi pratica che necessita del documento di
nascita, devono richiederlo nel comune di ubicazione dell'ospedale.
Infine, tale situazione crea
e alimenta tangibili incongruenze storico-sociali. Difatti, si sta manifestando
una situazione paradossale: da un lato, vi è la volontà politica di rivalorizzare
i borghi e i piccoli paesi, anche attraverso una politica di mantenimento degli
iscritti nelle rispettive anagrafi, dall'altro, la scelta di far coincidere il
comune di nascita con quello ove è ubicato l'ospedale piuttosto che con quello
di residenza familiare rende le località più piccole dei paesini fantasma, con
borghi che non avranno nessun ricordo storico futuro, privi di cittadini e con solo
meri residenti.
Pertanto i comuni di piccole
dimensioni, se la situazione dovesse rimanere immutata, sarebbero destinati
alla perdita della propria memoria storica, assoggettati a un ineluttabile
fenomeno di sparizione delle nascite, mentre al contempo, i neonati,
continuerebbero a essere privati di un comprovato legame con il vero luogo di
origine della propria famiglia.
Con il presente progetto di
legge, pertanto, si intende tutelare il diritto di ogni individuo di scegliere
se mantenere o meno il proprio luogo familiare di origine, e porre in tal modo
rimedio ad una esigenza sentita da moltissimi cittadini attualmente privati
della facoltà di scegliere.
Nello specifico, l'articolo
1 della presenta proposta di legge si compone di tre commi. Il primo comma
attribuisce ai genitori la facoltà di indicare, nella dichiarazione di nascita
di cui all'articolo 30, comma 1, del regolamento di cui al decreto del
Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, il luogo familiare di
origine, in aggiunta al comune ove è ubicato l'ospedale nel quale è
effettivamente avvenuta la nascita.
Il secondo comma espone cosa
si intende per "luogo familiare di origine", specificando che esso
coincide con la residenza dei genitori o, previo accordo, di uno solo di essi;
qualora invece non venga raggiunto un accordo, non è possibile indicare il
luogo familiare di origine e deve essere indicato solo il luogo effettivo di
nascita.
Il terzo comma puntualizza
che, qualora i genitori scelgano di avvalersi della facoltà di indicare anche
il luogo familiare di origine, il nuovo nato dovrà essere iscritto all'anagrafe
del comune corrispondente.
L'articolo 2, invece,
inquadra sistematicamente e coordina le norme con quanto già disposto in
materia di anagrafe e di ordinamento dello stato civile dal regolamento di cui
al decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000 n. 396, adottato sulla
base delle disposizioni di cui al comma 12 dell'articolo 2 della legge 15
maggio 1997, n. 127.
L'articolo 3, infine,
prevede la clausola di invarianza finanziaria, in quanto dall'attuazione della
presente legge non derivano nuovi o maggiori oneri a carico della finanza
pubblica.
DISEGNO
DI LEGGE
Articolo
1
(Istituzione del luogo familiare di origine)
1. Al fine di tutelare il
diritto al riconoscimento del luogo di origine della propria famiglia e di
preservare il radicamento territoriale con il luogo di origine, nella
dichiarazione di nascita di cui all'articolo 30, comma 1, del regolamento di
cui al decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, da
rendere all'ufficiale di stato civile, è attribuita ai genitori la facoltà di
indicare il luogo familiare di origine, in aggiunta al comune ove è ubicato
l'ospedale nel quale è avvenuta la nascita.
2. Il luogo familiare di
origine corrisponde al comune italiano ove risiedono i genitori, o uno solo di
essi. Nel caso in cui i genitori non risiedano nello stesso comune, il luogo
familiare di origine è stabilito di comune accordo. In mancanza di accordo, è
dichiarato solo il luogo ove è avvenuta la nascita. Se la dichiarazione di
nascita è resa da uno solo dei genitori, il luogo familiare di origine
corrisponde alla residenza di quest'ultimo. Agli effetti della presente legge,
per la residenza si applica l'articolo 43, secondo comma, del codice civile.
3. Qualora i genitori
scelgano di avvalersi della facoltà di cui al comma 1, il figlio viene iscritto
all'anagrafe del comune corrispondente.
Articolo
2
(Adeguamento delle norme regolamentari)
1. Entro tre mesi dalla data
di entrata in vigore della presente legge, con regolamento ai sensi dell'articolo
17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, previo parere delle competenti
Commissioni parlamentari, sono apportate le necessarie modifiche al regolamento
di cui al decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, al
fine di coordinarne le disposizioni con quelle della presente legge.
2. Entro sei mesi dalla data
di entrata in vigore della presente legge, il Ministero della giustizia, con
proprio decreto, di concerto con il Ministero dell'interno, provvede
all'adeguamento dei modelli dei documenti di identità e delle certificazioni di
nascita, anagrafiche e di stato civile alle disposizioni introdotte dalla
presente legge.
Articolo
3
(Clausola di invarianza finanziaria)
1. Dall'attuazione della
presente legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della
finanza pubblica.
venerdì 16 ottobre 2020
LA FILOSOFIA
SBAGLIATA DELLA SPAZZATURA
Molti amministratori non hanno capito che l’aspetto più
visibile su cui giocano la loro reputazione di bravi o cattivi amministratori
sta nella gestione del servizio della spazzatura.
E’ questo il comparto più evidente dove è più visibile ai
cittadini il rapporto spesa – servizio che, essendo sotto gli occhi di tutti,
determina un continuo controllo indiretto da parte dei cittadini nel doppio
ruolo di usufruitori del servizio e di pagatori dello stesso.
Come si sa la bolletta è il frutto, diviso fra tutti gli
utenti, del costo complessivo che sostiene il comune in un anno per tutti i
servizi, diretti ed indiretti, per tenere in piedi il carrozzone del servizio
di spazzatura.
Più il comune spende in un anno, più alta sarà la bolletta
per i cittadini perché non si tratta di una tassa stabilita a priori, ma di un
costo e di una spesa variabili.
La filosofia che, da qualche anno, ha prevalso nella
raccolta della spazzatura in molte città italiane, è quella della raccolta
porta a porta che, a mio avviso, si è dimostrata incapace di assicurare la
pulizia delle città.
Essa si basa sul concetto degli abitanti che usufruiscono di
un servizio a giorni stabiliti per conferire la diversa tipologia della
spazzatura in appositi contenitori sparsi su tutto il territorio comunale al
servizio esclusivo dei nuclei familiari autonomi e dei condomini.
Questa filosofia riempie le città di innumerevoli
contenitori che deturpano ancora di più, non elimina, ma aumenta la visione di
spazzatura conferita in contenitori pieni da giorni e non impedisce i sacchetti
lasciati in ogni dove.
Sono anche convinti che, avendo un adempimento ogni giorno,
non ci dovremmo spostare da casa nostra se non per qualche ora ed essere sempre
puntuali nella consegna dei sacchetti o dei contenitori.
Per la ditta di raccolta diventa più oneroso effettuare
fermate e svuotamento in ogni porta della città con costi maggiori che si
riversano sulla bolletta dei cittadini.
Bisogna mettere i cittadini nelle condizioni di essere
puliti con una organizzazione idonea che giustifichi le multe che devono essere
fatte a coloro che continuano a sporcare dopo che, a causa del servizio
razionalizzato, non esistono più alibi.
Altro aspetto trascurato per le città ed i comuni su cui si
riversano cittadini di altri paesi per turismo o brevi soste è l’assenza di un
servizio diretto a questa fascia di utenti provvisori che, non avendo dove
conferire la loro momentanea spazzatura, la riversano in ogni dove sporcando
ancora di più la città ed aumentando ancora di più il costo della bolletta
finale dei cittadini che pagano.
E’ in ogni caso necessario che si creino parecchie zone di
raccolta con cassonetti e cassoni dove conferire la spazzatura, sia
differenziata che non, ed evitare la squallida visione di tanti contenitori
sporchi e strapieni in ogni momento della giornata e potere usare il pugno duro
nei confronti dei menefreghisti che non avrebbero più nessun alibi in merito
alla mancanza di posti dove conferire.
E’ chiaro che queste zone di conferimento non avrebbero
necessità di personale stabile, ma solo l’esigenza che la ditta ne operi lo
svuotamento con continuità rapportata alla tipologia di quanto conferito.
Se poi il cittadino
vuole lo sconto bolletta, potrà sempre utilizzare i centri comunali di
conferimento come avviene adesso. Comunque vista l’esperienza alquanto
negativa, non si potrà continuare ancora così.
Sr.
16/10/2020
Pippo Bufardeci