domenica 27 marzo 2022

 

              PACHINO: UN CONSIGLIO NON RICHIESTO PER LA SINDACA


Il rischio c’è ed è concreto. A Pachino la confusione politica regna sovrana, ma anche il dilettantismo e l’egocentrismo di parecchi consiglieri comunali.

Con le condizioni attuali si rischia un tirare a campare inconcludente ed un periodo nefasto per l’intera comunità pachinese che avrebbe bisogno di un’azione seria ed incisiva da parte dell’amministrazione comunale.

Con la difficile situazione economica e sociale non possiamo permetterci il lusso di un nuovo lungo commissariamento dell’attività comunale né, tantomeno, di inutili lotte politiche che spesso si fanno per il soddisfacimento di un ego personale o per dimostrare di essere esperti vassalli di padroncini politici non casalinghi.

In questo contesto la Sindaca ha il dovere, sia pure con le sue mancanze ed inesperienza, di prendere in mano la situazione ed indicare i giusti obiettivi che si devono raggiungere nell’esclusivo interesse della città.

Innanzitutto deve puntare politicamente sul consiglio comunale per coinvolgere i consiglieri, sia di maggioranza che di opposizione, in un progetto realistico e condiviso senza steccati né chiusure che sarebbero solo negative.

Sul piano amministrativo deve puntare sull’azione seria e sulla collaborazione dei dipendenti comunali che gestiscono le varie strutture ed hanno più conoscenza dei problemi e delle normative di molti consiglieri comunali, assessori o consulenti vari.

Incontrare quindi, settore per settore, i dipendenti per fare stilare un quadro realistico delle situazioni pregresse, dei progetti già in itinere e portarli a compimento perché potrebbero essere quelli con maggiori possibilità di rapida realizzazione. Contemporaneamente individuare, con i dirigenti comunali che per questi compiti sono pagati, le iniziative che possono essere prese nei vari comparti amministrativi,e preparare le idonee documentazioni per concretizzarle con la richiesta dei relativi finanziamenti.

Avuto questo quadro realistico della situazione amministrativa del comune di Pachino, si inizi un confronto serio, veloce e coinvolgente con la rappresentanza politica, anche di opposizione, per eventuali integrazioni e nuove proposte fattibili per formalizzare tutti gli atti amministrativi per la loro concretizzazione.

Nell’attuale contesto, per costruire qualcosa di concreto, bisogna puntare sui lavoratori che conoscono anche un po’ del loro mestiere piuttosto che su filosofi più abituati alle inconcludenti meditazioni che alla concretezza del lavoro in un comune disastrato.

Bisogna coinvolgere e non escludere. Non estromettere, ma ascoltare. Non dare senso all’ego personale o degli amici, ma pensare agli interessi generali.

Solo così avrà ancora senso continuare senza finire nel baratro.   (Pippo Bufardeci)

 

 

 

giovedì 10 marzo 2022

 

Ex sindaco di Pachino Bufardeci racconta in un libro 20 anni della DC siracusana

 


Ventanni di storia della Dc siracusana, raccontata dall'ex sindaco di Pachino Pippo Bufardeci.

Il libro narra un periodo ventennale che va dal 1965 al 1985 attraverso il racconto autobiografico dell’autore che inizia con il primo tentativo di iscrizione alla Dc e termina con la sua ultima candidatura alle elezioni provinciali del 1985.

Il libro si snoda attraverso un percorso all’interno della DC con fatti, personaggi, proposte politiche e proiezioni nei vari enti e nel tessuto sociale della provincia di Siracusa che ripropongono l’importanza di uomini e impegni di una comunità politica che ha determinato condizioni di sviluppo del nostro territorio.
Il libro ha già avuto un’ottima accoglienza da parte dell’ambiente ex democristiano e non solo perché è, storiograficamente, una pietra miliare della diccì di Siracusa e non solo.
E’ in vendita in molte librerie della provincia e prenotabile in qualsiasi libreria in Italia e nei vari store on line.
Sicuramente ci sarà un secondo volume che tratterà il periodo finale dell’esperienza democristiana ed il dopo Dc con le nuove formazioni politiche, i nuovi personaggi e il diverso rapporto fra eletto ed elettori.
Pippo Bufardeci è nato 75 anni fa a Pachino.

Ha ricoperto diverso ruoli in politica oltre ad essere stato funzionario della Direzione centrale della Democrazia Cristiana.

Sposato e padre di 3 figli, dal 1980 al 1985 Consigliere Provinciale eletto nel Collegio di Noto nella lista della Democrazia Cristiana.

Dal 1987 al 1992 eletto Consigliere Comunale nel Comune di Pachino – lista D.C. con l’incarico di Capogruppo Consiliare.

Dal gennaio 1991 al novembre 1991 eletto Sindaco di Pachino.
Successivamente è stato pure assessore al Comune di Pachino con la delega alle Politiche Sociali, Lavori Pubblici, Turismo, Sviluppo Economico, Cimitero e Presidente della Commissione per le pratiche del terremoto del 1990.

Nel giugno del 2004 è stato anche consigliere comunale a Siracusa.

 

DAL QUOTIDIANO DI INFORMAZIONE ONLINE: NUOVO SUD.IT

 

martedì 8 febbraio 2022

 

DALLA DEMOCRAZIA ELETTIVA ALLA PARTECIPATA

Il passaggio dalla prima alla seconda Repubblica non si è caratterizzato solo per lo stravolgimento politico che si è creato, ma soprattutto per ciò che ha rappresentato sul piano del rapporto fra i cittadini elettori e gli eletti.

Nella prima repubblica il cittadino elettore non solo sceglieva il proprio rappresentante nelle istituzioni attraverso la individuazione di un nome fra i tanti proposti, avvalendosi della segnatura della propria preferenza, ma concorreva a determinare la composizione della stessa lista attraverso una partecipazione attiva.

La partecipazione attiva si estrinsecava nell’ambito delle strutture dei partiti attraverso le tante assemblee ai vari livelli territoriali e statutari, ma anche attraverso le varie associazioni rappresentative delle esigenze sociali, economiche e categoriali.

Il sistema proporzionale assicurava, pur con i suoi limiti, la individuazione dei candidati, la scelta del singolo rappresentante e la rappresentanza delle varie articolazioni della società.

Questo sistema assicurava un rapporto diretto e continuo fra il territorio, l’eletto ed i suoi elettori.

Il sistema maggioritario e l’assenza della espressione della preferenza hanno determinato le condizioni dell’arroccamento fra gruppi anche disomogenei al loro interno, ma sommatisi elettoralmente per garantire l’aspetto matematico e non politico e per poter vincere le elezioni.

Dalla democrazia rappresentativa e partecipata siamo passati alla democrazia solamente elettiva.

L’organizzazione piramidale dei gruppi politici ha portato la proposta politica a rivedersi in un personaggio leader del gruppo capace di dettare le indicazioni di voto senza una proposta politica condivisa con le comunità che si vogliono rappresentare e senza alcuna partecipazione dei cittadini.

I cittadini hanno smesso di conoscere e di riconoscersi nell’eletto loro rappresentante perché è stato scelto dall’alto, spesso lontano dal territorio e preoccupato solo di ossequiare il capo che lo dovrebbe rimettere in lista e gli elettori devono solo fare un segno della croce sulla scheda.

Le prossime elezioni, indipendentemente dalla data di svolgimento, continueranno a perpetuare questo atipico sistema elettorale che è ritenuto meno importante dei sondaggi e dà solo parvenze di democrazia in quanto la cosiddetta stabilità, quasi mai verificatesi, è ritenuta, strumentalmente, meno importante della democrazia

Sono consapevole che, allo stato delle cose, difficilmente verrà cambiato il sistema elettorale a favore dei cittadini elettori perché toglierebbe il potere monarchico al capo squadra e la gioia di avere sudditi al posto degli elettori.

Solo se avessero il coraggio di fare ciò che dicono e non fanno mai, si potrebbe concretizzare un grande passo avanti verso la partecipazione dei cittadini alla determinazione della propria rappresentanza con una semplice modifica alla legge elettorale.

Basterebbe, allo stato, inserire il sistema del ballottaggio fra i due candidati che, nel collegio, hanno ottenuto i due maggiori quozienti, come avviene per i sindaci, e si ripristinerebbe in parte la capacità di scelta degli elettori, un rapporto più diretto fra eletto e territorio e un impegno istituzionale con maggiore conoscenza delle problematiche locali. Male cose semplici non sono di questo mondo.

Pippo Bufardeci

lunedì 17 gennaio 2022


 

SCUOLA SUPERIORE A QUATTRO ANNI: PROPOSTA PER ALTRI MILLE LICEI E ISTITUTI TECNICI

MA L’AZIONE A PUNTATE CREA DISPARITA’ FRA STUDENTI. MEGLIO TUTTI SUBITO.

Nel 2017 il Ministro Fedeli introdusse la sperimentazione del “Liceo Breve” al fine di permettere l’adeguamento delle scuole superiori italiane alla stragrande maggioranza dei paesi europei che anticipano di un anno l’iscrizione universitaria e quindi l’immissione dei giovani nel mondo del lavoro.

Ciò è possibile passando dagli attuali cinque anni a quattro senza diminuzione dei programmi.

Nell’anno scolastico 2018-2019le classi interessate erano circa 100 che si sono raddoppiate nell’anno successivo permettendo a migliaia di studenti italiani di accedere all’università con un anno di anticipo rispetto ad altri studenti e quindi anche con la possibilità di entrare nel mondo del lavoro con un anno di anticipo rispetto agli altri soggetti del percorso ordinario.

L’attuale ministro della pubblica istruzione, Patrizio Bianchi, ha proposto che, per il 2022, ne possano usufruire altri mille licei ed istituti tecnici.

Il consiglio superiore della pubblica istruzione esprime parere negativo perché ritiene che, “al momento, non vi siano le condizioni per procedere ad ulteriori ampliamenti delle classi coinvolte”.

A questo punto, secondo me, il gioco diventa discriminante nei confronti di tutti gli altri studenti che non usufruiscono della riduzione degli anni della scuola superiore e della possibilità di anticipare il loro ingresso nel mondo del lavoro.

Senza considerare che, questa disparità di trattamento fra gli studenti, è anche anticostituzionale perché lede il concetto di parità di diritti fra tutti i cittadini.

Difatti avremmo tutti gli studenti degli istituti interessati alla sperimentazione, che potrebbe durare decenni, in una posizione di vantaggio di studio e di lavoro rispetto a tutti gli altri.

Quindi sarebbe il caso di finire la sperimentazione ed introdurre per tutti gli istituti superiori la durata di quattro anni anziché di cinque adattandoci agli altri paesi europei e togliendo la disparità fra studenti, sia per quanto attiene il tempo del diploma e sia per avere la stessa possibilità e le stesse condizioni, per potersi immettere nel mondo del lavoro.

(Pippo Bufardeci)

 

 

 

 

giovedì 13 gennaio 2022

 L’IRA DI MUSUMECI È DA BAMBINO CAPRICCIOSO

La elezione dei rappresentanti siciliani per l’assemblea che dovrà eleggere il nuovo Presidente della Repubblica, ci ha dato l’immagine del presidente della nostra regione, Nello Musumeci, simile ad un bambino capriccioso che piange se non vince al giuoco con gli altri bambini.
Non sta scritto da nessuna parte che il presidente di una qualsiasi regione debba essere parte insostituibile dei grandi elettori che devono eleggere il Presidente della Repubblica altrimenti nella costituzione sarebbe stato indicato come membro di diritto.
Ma egli, come gli altri, deve passare attraverso una libera elezione dei componenti l’assemblea regionale. In una elezione, che non prevede obblighi di maggioranza o di opposizione, può essere eletto chiunque faccia parte dell’assemblea regionale.
Lui è stato eletto in terza posizione, ma nessuna legge gli garantisce il posto più alto del podio anche perché, in fase di votazione, anche del Presidente della Repubblica, tutti i voti valgono uno.
La sua reazione è stata da bambino viziato perché ha messo in crisi il Governo, ha sbraitato contro tutti e contro tutto, ha dato valore ricattatorio al voto stesso ed ha sciorinato epiteti gravi contro i deputati votanti senza una motivazione né politica né istituzionale.
Ha incentrato tutto sul suo ego ferito. Perché non ha avuto una simile reazione quando i suoi decreti o provvedimenti di Governo sono stati bocciati dalla maggioranza che doveva difenderli?
Sicuramente una brutta caduta di stile, di rispetto della volontà dell’aula, del diritto di qualsiasi deputato di votare secondo i propri convincimenti su atti che non impegnano su nessuna solidarietà di Governo quale è da considerare la elezione dei delegati siciliani al voro presidenziale.
Quindi caro presidente Nello Musumeci, non faccia il bambino offeso e capriccioso e, se ne è capace, continui a lavorare per la Sicilia che per adesso lei rappresenta e per la quale è stato votato e non per sbraitare inesistente lesa maestà.
(PIPPO BUFARDECI)

giovedì 30 dicembre 2021

 DALLA DEMOCRAZIA ELETTIVA  ALLA PARTECIPATA

Il passaggio dalla prima alla seconda Repubblica non si è caratterizzato solo per lo stravolgimento politico che si è creato, ma soprattutto per ciò che ha rappresentato sul piano del rapporto fra i cittadini elettori e gli eletti.

Nella prima repubblica il cittadino elettore non solo sceglieva il proprio rappresentante nelle istituzioni attraverso la individuazione di un nome fra i tanti proposti, avvalendosi della segnatura della propria preferenza, ma concorreva a determinare la composizione della stessa lista attraverso una partecipazione attiva.

La partecipazione attiva si estrinsecava nell’ambito delle strutture dei partiti attraverso le tante assemblee ai vari livelli territoriali e statutari, ma anche attraverso le varie associazioni rappresentative delle esigenze sociali, economiche e categoriali.

Il sistema proporzionale assicurava, pur con i suoi limiti, la individuazione dei candidati, la scelta del singolo rappresentante e la rappresentanza delle varie articolazioni della società.

Questo sistema assicurava un rapporto diretto e continuo fra il territorio, l’eletto ed i suoi elettori.

Il sistema maggioritario e l’assenza della espressione della preferenza hanno determinato le condizioni dell’arroccamento fra gruppi anche disomogenei al loro interno, ma sommatisi elettoralmente per garantire l’aspetto matematico e non politico e per poter vincere le elezioni.

Dalla democrazia rappresentativa e partecipata siamo passati alla democrazia solamente elettiva.

L’organizzazione piramidale dei gruppi politici ha portato la proposta politica a rivedersi in un personaggio leader del gruppo capace di dettare le indicazioni di voto senza una proposta politica condivisa con le comunità che si vogliono rappresentare e senza alcuna partecipazione dei cittadini.

I cittadini hanno smesso di conoscere e di riconoscersi nell’eletto loro rappresentante perché è stato scelto dall’alto, spesso lontano dal territorio e preoccupato solo di ossequiare il capo che lo dovrebbe rimettere in lista e gli elettori devono solo fare un segno della croce sulla scheda.

Le prossime elezioni, indipendentemente dalla data di svolgimento, continueranno a perpetuare questo atipico sistema elettorale che è ritenuto meno importante dei sondaggi e dà solo parvenze di democrazia in quanto la cosiddetta stabilità, quasi mai verificatesi, è ritenuta, strumentalmente, meno importante della democrazia

Sono consapevole che, allo stato delle cose, difficilmente verrà cambiato il sistema elettorale a favore dei cittadini elettori perché toglierebbe il potere monarchico al capo squadra e la gioia di avere sudditi al posto degli elettori.

Solo se avessero il coraggio di fare ciò che dicono e non fanno mai, si potrebbe concretizzare un grande passo avanti verso la partecipazione dei cittadini alla determinazione della propria rappresentanza con una semplice modifica alla legge elettorale.

Basterebbe, allo stato, inserire il sistema del ballottaggio fra i due candidati che, nel collegio, hanno ottenuto i due maggiori quozienti, come avviene per i sindaci, e si ripristinerebbe in parte la capacità di scelta degli elettori, un rapporto più diretto fra eletto e territorio e un impegno istituzionale con maggiore conoscenza delle problematiche locali. Male cose semplici non sono di questo mondo.

Pippo Bufardeci

 

 

 

 

 

 

sabato 2 ottobre 2021

 


GLI ARTIGLI DELLA LEGA SUL PROGETTO INTEL IN SICILIA

IL LAVORO VA SEMPRE AL NORD? TACCIONO I SICULI-LEGHISTI

 





Il progetto della multinazionale Intel di posizionare un proprio stabilimento di microelettronica in Italia, nell’ambito della strategia europea per lo sviluppo, l’occupazione e la competitività della propria economia, ha già evidenziato gli artigli leghisti che, per bocca del ministro leghista allo sviluppo economico Giorgetti, assegnano prioritariamente al Piemonte questa opportunità di ulteriore sviluppo.

Si fanno quindi benedire tutti i proclami leghisti a favore del Sud e della Sicilia e dimostrano la falsità di un’azione politica che, puntando sulla consolidata storica disponibilità servile degli ascari locali, mira solamente a raccogliere quanti più consensi possibili al Sud per utilizzarli a favore degli interessi esclusivi del Nord.

Eppure questa volta non possono dirci che vogliamo costruire cattedrali nel deserto. Non possono dirci che non abbiamo pronti i siti necessari per l’insediamento. Non possono dirci che non abbiamo le esperienze, le competenze, i centri di ricerca idonei, le professionalità, le competenze universitarie e persino il capitale umano ai vari livelli da utilizzare.

Il sito dell’Etna Valley, dove già opera da molti anni la STMicroelectronis ed altre aziende già impegnate nel settore strategico della nanotecnologia e della microelettronica, così come la zona industriale del siracusano, come ha proposta il sindaco di Priolo Pippo Gianni, con le sue strutture ed i suoi capannoni già disponibili, potrebbero in sinergia, rappresentare le condizioni più idonee per l’allocazione del sito della INTEL.

Potrebbe essere questa una concreta e fattibile soluzione per determinare le migliori condizioni di sviluppo per il Sud e la Sicilia basato sull’innovazione tecnologica e sulla produzione di elementi fondanti per l’economia del futuro.

Eppure c’è chi, come la Lega, lavora sempre per depredare il Sud e la Sicilia a favore degli interessi del Nord lasciando lo sviluppo economico del nostro territorio all’elemosina del reddito di cittadinanza anche se, a parole, ne chiede la soppressione, ma nei fatti ci impedisce di superarlo con lo sviluppo serio, vero e concreto e con la conseguente occupazione frutto di lavoro stabile e prospettico.

Su tutto questo la pseudo classe politica meridionale, passata velocemente al servizio degli interessi elettorali della Lega, tace senza ritegno.

Questo treno importante non può passare con la passività complice dei meridionali, ma deve essere difeso con le unghie ed i denti perché potrebbe essere definitivamente l’ultimo.

Basta con le logiche dei partiti e con gli interessi di bottega, ma necessita una strategia d’insieme per impedire ulteriore arretratezza del meridione e depauperamento del suo tessuto umano.

Sr 02/10/2021                                                                  PIPPO BUFARDECI

 

domenica 6 giugno 2021

 

GLI ELETTORI POLITICAMENETE ZOMBI RATIFICANO QUELLO DECISO DA ALTRI

 

Una amministrazione comunale qualsiasi ed il sindaco, in particolare, deve essere l’espressione diretta di un territorio che non è soltanto ricevere il consenso dei cittadini, ma deve conoscere i problemi del comune che deve amministrare ed i cittadini devono riconoscersi in chi li amministra.

Da qualche decennio a questa parte i cittadini votano un determinato candidato senza averlo scelto e, spesso, senza nemmeno conoscerlo.

Ciò perché siamo passati, in tutte le elezioni, tranne che per le regionali dove resiste il proporzionale e la preferenza, dalla democrazia della partecipazione alla democrazia del consenso.

I cittadini elettori non scelgono chi li deve amministrare attraverso la conoscenza e la scelta, con una preferenza diretta, per affidagli le sorti del proprio comune o degli altri organismi elettivi.

I cittadini sono solo chiamati a dare il loro consenso alle scelte operate da altri senza alcuna possibilità di intervento in fase di votazione per cui è come se inserissero nell’urna una scheda già votata.

L’elettore diventa quindi non più colui che incide sulla sostanza della scelta politica che opera votando, ma un campione statistico che assegna agli eletti ed ai partiti la percentuale di voti che li fa eleggere o sconfiggere.

E l’eletto non risponde più ai cittadini elettori, ma a coloro che lo hanno indicato per il compito ratificato dagli elettori senza altra alternativa possibile.

Né possiamo dire che l’alternativa è rappresentata dagli altri candidati perché anche loro sono scelti senza alcuna partecipazione dei cittadini e comunque l’alternativa improntata solo sul paino dei singoli soggetti elimina le motivazioni culturale e la visione sociale che i candidati devono possedere per le proposte di soluzione dei problemi inserite nei loro programmi.

Lo sfacelo dei partiti e dei gruppi portatori di istanze culturali e politiche hanno determinato un modo di aggregazione del consenso sul piano del leader o del gruppo di interessi momentanei secondo un sistema di tifoseria e non di aggregazione su idee e prospettive.

Siamo passati da una democrazia partecipata ad una democrazia del semplice consenso alle scelte immodificabili operate da soggetti che decidono senza essersi sottoposti al giudizio dei cittadini. Vedi il ruolo svolto da Bertini, per il PD, nell’ultima crisi di Governo senza che avesse mai avuto un’investitura da parte dei soci di quel partito o dai suoi elettori o dagli organismi interni.

Basta anche seguire il balletto delle candidature per le prossime elezioni amministrative, soprattutto per i comuni a forte consistenza di popolazione per rendersi conto dell’aberrazione dei metodi usati per la scelta deli candidati sindaci.

I grandi assenti sono solo i cittadini che non partecipano a nessuna scelta in quanto è strettamente di competenza di personaggi, organismi appiccicaticci, di interessi vari di gruppi politici, economici o di varia natura che determinano la candidatura e poi l’azione funzionale nell’ente pubblico del soggetto che va mandato, come un corpo estraneo, al cospetto del falsificato consenso del cittadino che scimmiotta il suo diritto primario di scelta.

Anche la situazione della città di Siracusa rappresenta un caso anomalo di investitura politica di un rapporto cittadini – sindaco la cui azione non passa attraverso nessun controllo popolare, anche se avverrebbe tramite gli eletti in consiglio comunale, perché un commissario esterno non è né il popolo né portatore di interessi della cittadinanza che si amministra.

E’ chiaro che dal punto di vista giuridico l’attuale Sindaco di Siracusa non lede nessuna norma, ma politicamente è menomato perché la sua rappresentanza delle istanze popolari non può passare solo attraverso i componenti la giunta municipale da lui stesso scelti o suggeriti o imposti da gruppi esterni così come il rapporto con un funzionario esterno a Siracusa, che svolge il ruolo di commissario, non può sostituire il consiglio comunale come organismo di rappresentanza delle istanze dei cittadini.

Bisogna che la normativa che sopraintende alle situazioni regolamentari verificatesi a Siracusa con l’autoscioglimento, per dolo del consiglio comunale, deve prevedere una immediata rielezione del consiglio decaduto magari impedendo la rielezione dei consiglieri che ne hanno provocato la decadenza.

Ma una politica nominativa di leader senza partecipazione della base e senza i fondamentali culturali di una ideologia che aggreghi e faccia partecipare i cittadini e non i tifosi del momento, hanno la volontà di cambiare ed eliminare le gravi distorsioni del sistema?

Pensiamo proprio di no.

 

Siracusa 17/05/2021                                                                     Pippo Bufardeci

 

domenica 17 gennaio 2021

mercoledì 30 dicembre 2020

 

DOPO ELEZIONI E REFERENDUM, ADESSO L’ITALIA REALE

 

l’abbuffata elettorale ha attraversato il Paese e la politica con la solita scia di inutili discussioni frutto del degrado in cui si trova ormai la società italiana nel suo complesso.

Tutti vincitori, tutti capaci di essere gli unici depositari del consenso e della volontà dei cittadini, tutti con il carniere pieno di ricette miracolose per risolvere i problemi del Paese, ma nessuno in grado di indicare una prospettiva concreta e fattibile di ripresa del nostro sistema sociale ed economico.

Tutto questo in una fase storica che dovrà necessariamente distinguersi per la capacità di individuare e realizzare una visione strategica del progetto di crescita del nostro Paese alla luce del futuro riassetto degli equilibri mondiali.

Ciò dopo la forte crisi economica che abbiamo vissuto nel decennio precedente e la subdola incidenza del coronavirus che dobbiamo metabolizzare come un tornado non solo di natura sanitaria, ma sociale, economico e politico – istituzionale.

Serve quindi un Governo che abbandoni i retaggi di natura ideologica su alcune scelte importanti che rischiano di bloccare decisioni capaci di incidere su vitali settori del sistema Paese e serve soprattutto una visione del fare che non punti a mettere l’etichetta di questa o di quella forza che sostiene l’esecutivo, ma l’insieme della maggioranza che ne permette la tenuta.

Per fare questo serve una riquadratura organizzativa e propositiva di tutte le forze politiche capaci di privilegiare il progetto complessivo di crescita dell’intero Paese non subordinato agli interessi dei territori forti né agli slogans ad effetto.

Ma serve anche una opposizione che si cimenti per essere forza di Governo e non semplicemente barricadiera, amplificatrice di timori e paure o conflittuale con tutti e su tutto.

E’ difficile costruire dopo che si è distrutto anche da parte di chi si ritiene capace di risolvere tutti i problemi.

Ritengo che nei due schieramenti di governo e di opposizione ci siano forze politiche ed elementi singoli capaci di svolgere un ruolo di moderazione e di azione che veda come prioritario l’interesse del Paese rispetto a quello delle singole forze politiche.

Il confronto sulle strategie da mettere in campo e sulle cose da fare diventa ancora più necessario ed utile se si considera che, alla fine della tornata elettorale, finita in parità numerica, il rapporto Stato Regioni non può essere imposto da nessuno in quanto la variegata gestione politica delle regioni, impone un confronto serrato, ma serio e conducente allo sviluppo globale dell’intera comunità nazionale.

Le recenti elezioni hanno anche evidenziato una debolezza politica del Governo che, paradossalmente, diventa la sua forza d’azione in quanto l’esito del referendum che diminuisce il numero dei parlamentari assicura una durata d’azione che potrà portare fino alla data di chiusura costituzionale della legislatura.

Ecco perché, da parte del Governo, è necessario rendere noto il programma di cose da fare con tempi e finanziamenti individuati per permettere il controllo da parte delle opposizioni, ma soprattutto da parte dei cittadini che devono essere partecipi e corresponsabili degli sforzi che necessita l’attuale momento storico per rimettere in carreggiata, tutti insieme, il veicolo Italia.                                                                                 

Ma assieme alla individuazione dei progetti di sviluppo da realizzare, bisogna che il Governo elabori una nuova normativa sugli enti locali che ne permetta il funzionamento e la capacità finanziaria per rispondere ai problemi del mantenimento della struttura e dei servizi da erogare ai cittadini.

La normativa deve dare assicurazioni che non venga mai meno il controllo popolare dell’ente locale in quanto essendo il primo organo costituzionale che si confronta con le esigenze dei cittadini non può subire, per normative poco accorte come lo scioglimento o per motivi di mafia non appurati da organismi della magistratura o per negligenza degli amministratori e consiglieri che determinano lo scioglimento degli Enti, si possa arrivare a gestioni solitarie dei sindaci o di commissari nominati per gestire comunità senza confronto con i cittadini.

 Nell’un caso o nell’altro bisogna che, rimasti solo i sindaci, si provveda all’immediata rielezione dei consigli comunali o nel caso dei commissari si elegga una rappresentanza cittadina capace di essere attiva sia nel controllo che nelle proposte.

In tutti e due i casi si eviterebbe il sospetto che, senza un controllo istituzionale da parte dei cittadini, si possa avere il sospetto che l’interlocuzione non controllata democraticamente possa lasciare la gestione dell’Ente all’influenza di gruppi economici, massonici o delinquenziali che potrebbero avere vita più facile nel convincere pochi esponenti delle istituzioni.

Anzi, gli organismi elettivi, a livello locale, dovrebbero essere più numerosi nel numero dei rappresentanti per evitare connivenze dei pochi e indicare una normativa chiara su compiti e responsabilità.

Anche l’aspetto giuridico relativo al compenso va inquadrato come attività di servizio del consigliere verso il proprio paese e remunerato solo con il gettone di presenza nelle riunioni di consiglio comunale.

Vi è molta carne al fuoco che presuppone capacità politica e gestionale da parte dei rappresentanti dei cittadini che devono essere, non solo preparati al ruolo che dovranno svolgere, ma anche scelti direttamente dagli elettori con la preferenza e non nominati dai capi e capetti di turno dei partiti.

 Pippo Bufardeci 28/09/2020

(Per il periodico Timeout di Siracusa)