E' notizia giornalistica di oggi che il ministro del Tesoro, Tremonti, ha risposto picche alla Regione Sicilia in merito alla deroga al patto di stabilità per permettere l'assunzione dei precari degli Enti locali.
Se da un punto di vista della tutela delle norme economiche è una decisione tecnicamente poco discutibile, essa diventa grave dal momento che non si sono concordate soluzioni alternative per risolvere il problema.
Non siamo di fronte a capricci del clientelismo politico o a fatti contingenti di assunzioni clientelari perchè, anche se lo sono stati all'origine, bisogna partire da due considerazioni incontrovertibili.
La prima è che questa situazione di precarietà dura da venti anni e non si può adesso fare pagare tutti gli errori a queste migliaia di lavoratori che hanno, nella precaria ed insufficiente retribuzione, l'unico sostentamento per loro e la loro famiglia.
Questi lavoratori adesso svolgono il lavoro dei dipendenti a retribuzione regolare e vengono sfruttati dallo stesso Stato che dovrebbe tutelarli.
Sono ormai necessarin nel loro lavoro in quanto gestiscono ormai tutta la macchina amministrativa degli Enti locali che rischierebbe la paralisi.
Se è vero, come è vero, che all'atto delle assunzioni vi sono stati degli abusi, è anche vero che la pubblica amministrazione ha rappresentato l'unico strumento, anche se spesso gestito in modo banditesco, per ammortizzare la crisi sociale dovuta alla forte disoccupazione.
Penso quindi che la società, a fronte dell'indifferenza con cui ha trattato le necessità lavorative e la capacità di reddito di molti giovani meridionali e siciliani in particolare, abbia il dovere di sanare queste situazioni di sfruttamento arretrato.
Solo dopo si può e si deve cambiare registro mettendo mano alla ricerca delle responsabilità, agli abusi che ci sono stati ed in parte continuano ad esserci nelle assunzioni pubbliche, ma soprattutto bisogna creare le condizioni perchè vi siano vere e sicure alternative al lavoro nella pubblica amministrazione senza la necessità di chedere il favore al politico od al potente di turno per accedere a quello che dovrebbe essere un diritto inalienabile.
Se da un punto di vista della tutela delle norme economiche è una decisione tecnicamente poco discutibile, essa diventa grave dal momento che non si sono concordate soluzioni alternative per risolvere il problema.
Non siamo di fronte a capricci del clientelismo politico o a fatti contingenti di assunzioni clientelari perchè, anche se lo sono stati all'origine, bisogna partire da due considerazioni incontrovertibili.
La prima è che questa situazione di precarietà dura da venti anni e non si può adesso fare pagare tutti gli errori a queste migliaia di lavoratori che hanno, nella precaria ed insufficiente retribuzione, l'unico sostentamento per loro e la loro famiglia.
Questi lavoratori adesso svolgono il lavoro dei dipendenti a retribuzione regolare e vengono sfruttati dallo stesso Stato che dovrebbe tutelarli.
Sono ormai necessarin nel loro lavoro in quanto gestiscono ormai tutta la macchina amministrativa degli Enti locali che rischierebbe la paralisi.
Se è vero, come è vero, che all'atto delle assunzioni vi sono stati degli abusi, è anche vero che la pubblica amministrazione ha rappresentato l'unico strumento, anche se spesso gestito in modo banditesco, per ammortizzare la crisi sociale dovuta alla forte disoccupazione.
Penso quindi che la società, a fronte dell'indifferenza con cui ha trattato le necessità lavorative e la capacità di reddito di molti giovani meridionali e siciliani in particolare, abbia il dovere di sanare queste situazioni di sfruttamento arretrato.
Solo dopo si può e si deve cambiare registro mettendo mano alla ricerca delle responsabilità, agli abusi che ci sono stati ed in parte continuano ad esserci nelle assunzioni pubbliche, ma soprattutto bisogna creare le condizioni perchè vi siano vere e sicure alternative al lavoro nella pubblica amministrazione senza la necessità di chedere il favore al politico od al potente di turno per accedere a quello che dovrebbe essere un diritto inalienabile.
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