giovedì 3 marzo 2011

AEROPORTO DI PACHINO, UN MURO PER RICORDO



Durante la seconda guerra mondiale anche Pachino aveva il suo aeroporto e sorgeva nella zona pianeggiante detta Pianetti o “Quattrumura” sulla strada che, uscendo dal lato ovest del paese conduce fino alla vicina Ispica.
Vi era allocata una base che comprendeva dei militari, soprattutto riservisti, e pochi aerei veri perché gli altri erano di cartone colorato e mimetizzato.
Lo scopo dell'aeroporto, anche se era adatto per eventuali atterraggi di emergenza, non era quello di partecipare attivamente alle operazioni belliche, ma di proteggere il vero e più importante aeroporto militare che si trovava allocato a Comiso.
Era quello che potremmo definire uno specchietto per le allodole.
Difatti, in un periodo di aviazione pioneristica, senza strumenti sofisticati a bordo, il volo avveniva con avvistamento ad occhio umano ed il nemico, non avendo mappe idonee ed aggiornate, poteva facilmente confondere un posto con un altro.
Ecco, l'aeroporto di Pachino, aveva la funzione di far confondere i piloti nemici per cui sarebbe stato eventualmente bombardato senza tante conseguenze al posto del vero aeroporto militarmente importante che era Comiso.
E di bombardamenti sbagliati ve ne furono parecchi.

Che questi errori succedessero con una disarmante normalità è testimoniato da molta documentazione e scritti di ex piloti di quel periodo storico che vedeva, soprattutto in Italia, i primi passi dell’Arma aeronautica utilizzata in azioni militari dentro e fuori i confini del nostro Paese.

Per fermarci a quanto descritto nei suoi ricordi, ne abbiamo ampia testimonianza, nel libro di memorie del generale Corrado Deodato, eroe pachinese dell’aviazione militare italiana durante la costituzione della stessa e nelle numerose missioni che contraddistinsero il suo coraggio e la sua capacità militare nel corso della seconda guerra mondiale che lo videro protagonista.
L’aeroporto militare che sorgeva a Pachino aveva anche lo scopo, tutto frutto della propaganda fascista, di dimostrare, ai ricognitori nemici, la potenza militare italiana in quanto oltre agli aerei finti, vi erano anche cannoni, carri armati ed altre bocche di fuoco che non avrebbero spaventato nessuno perché finte, ma viste dai binocoli del nemico davano la sensazione di un armamentario devastante.

A dimostrazione di ciò vi è un fatto molto emblematico e storicamente verificatesi, riportato anche nel libro di Alfio

Scuderi, “ 45 giorni di guerra in Sicilia “ dove alla pagina 102, testualmente scrive: - Con le stesse modalità e senza spargimento di sangue veniva occupato l’aeroporto di Maucini che nel 1940 eraq stato scambiato per quello di Malta dal Suderland pilotato dal generale Bajres; era stato quello il primo aereo catturato in Italia, in piena efficienza “-.

Questo fatto storicamente accertato è importante, a mio avviso, per dimostrare che l’aeroporto di Pachino o “ campo di aviazione “ come veniva chiamato in quel periodo, era già funzionante nel 1940 anche se lo Scuderi lo individua con il nome di Maucini forse inquadrando la zona Pianetti nel più vasto territorio del feudo portante tale nome; che l’aeroporto di Pachino era anche utilizzabile per aerei veri, oltre che per quelli finti; che l’altro episodio raccontato dagli anziani relativo ad un aereo atterrato con personalità italiane importanti può assumere connotati di veridicità storica.

Ma non erano solo gli inadeguati mezzi dei ricognitori o degli aerei militari nemici che generavano errori, ma anche quelli, non certo modernissimi, in dotazione alle nostre forze armate per proteggere gli aeroporti strategici..

Per restare al tema dei due aeroporti di Comiso e Pachino e degli effetti di depistaggio del secondo rispetto al primo, possiamo ricordare un episodio realmente accaduto nell’aeroporto di Comiso.

Durante la seconda guerra mondiale mio padre svolse quasi interamente il suo servizio militare presso l’aeroporto di Comiso addetto all’autoreparto prima ed all’amministrazione dopo sotto il comando diretto dell’allora capitano Gaetano Tafuri di Pachino.

Una notte, durante il turno di responsabilità dell’accensione delle luci di pista dell’aeroporto di un aviere pachinese, al secolo Savarino, due aerei sorvolarono lo spazio aereo dell’aeroporto facendo comprensibili segnali che intendevano atterrare.

Il Savarino accese le luci per permettere l’atterraggio e le spense ad operazione completata.

Grande fu la sua sorpresa quando, dopo pochi minuti, si vide circondato da un gruppo di avieri inglesi che chiedevano di essere fatti prigionieri dagli italiani in quanto avevano paura che potessero cadere nelle mani dei tedeschi.

Savarino si presentò al comando amministrativo dell’aeroporto con la notizia che un gruppo di inglesi volevano essere arrestati dagli italiani.

Subito una caterva di sfottò e di ilarità si abbatté sull’aviere pachinese da parte di tutti i presenti tranne poi prendere atto che si trattava di una disarmante verità.

Quindi l’errore era quasi nella normalità della vita militare di allora sia che si volasse sia che si operasse a terra.

La situazione di pericolo per la popolazione pachinese si fece più grave con l’approssimarsi del previsto sbarco alleato nelle coste della zona in quanto l’azione di ricognizione si fece sempre più pressante ed i bombardamenti per neutralizzare gli apparati militari italiani si intensificarono sempre di più.

Ciò anche perché l’aeroporto di Pachino, pur con le sue ovvie limitazioni, incominciò a registrare un movimento di mezzi a terra e di aerei superiore alla normalità registrata fino ad allora ed anche adesso gli anziani del paese ricordano questi movimenti compreso l’atterraggio, non si sa se per problemi logistici o di avaria del mezzo aereo, di un gruppo di alte personalità del governo italiano.

Secondo quanto riferiscono gli anziani locali fra queste personalità vi sarebbe stato l’allora principino Umberto di Savoia e alte cariche del comando militare italiano.

Se queste voci rispondessero, come dicevamo, ad una verità storica accertata potremmo azzardare l’ipotesi, anche alla luce dei documenti ritrovati negli archivi statunitensi e resi recentemente accessibili agli studiosi, si potrebbe pensare ad una sosta nel viaggio di ritorno dalla Spagna all’Italia.

Difatti è storicamente accertato che, nei mesi precedenti l’armistizio, vi fu un fitto rapporto di note diplomatiche e di visite agli alti livelli, nelle ambasciate italiane ed inglesi di Spagna e Portogallo per chiedere prima e definire dopo i dettagli dell’armistizio che si sarebbe poi firmato a Cassibile dopo lo sbarco anglo – americano.

Fu per tutti questi motivi che molti pachinesi presero la decisione di trasferire le proprie famiglie nelle zone di campagna ritenute più sicure anche perché spesso le bombe non distinguevano i siti militari dalle abitazioni civili ed un aeroporto a poche centinaia di metri dalla periferia del paese poteva essere solo foriero di lutti.

Naturalmente ignoravano, i contadini pachinesi, che con il loro trasferimento nelle campagne, soprattutto delle zone marine, non avrebbero fatto altro che andare incontro al nemico che sarebbe sbarcato molto presto.
Dopo la guerra rimasero nella zona solamente le mura dell'ampia recinzione che era ancora possibile ammirare in tutta la loro maestosità ed in tutto il loro ricordo del recente passato bellico anche quando, negli anni cinquanta, quella zona divenne il punto di raccolta di quasi tutta l’abbondante produzione dei covoni di frumento per la trebbiatura meccanica che faceva i suoi primi passi.

Lunghe ed alte file di covoni riempivano i terreni spianati dell’ex aeroporto in filari che quasi imitavano la predisposizione urbanistica dei quartieri del paese con in mezzo, al posto del cortile, le nuove fiammanti trebbiatrici che avevano sostituito i muli ed i cavalli ed inghiottivano i grandi covoni che contadini stanchi e sudati caricavano sulle loro spalle salendo su per le scale di legno fino a scaricarle dall’alto nella coclea interna che girava e macinava tutto.

Con il passare degli anni queste mura sono state tutte demolite per utilizzare il materiale in molte costruzioni cittadine vista la mancanza di materiale da costruzione e di soldi per comprarlo.
Adesso rimane solo un muro a forma di C greca a ricordare un passato che molti non conoscono più e che, a mio avviso, dovrebbe essere salvaguardato a ricordo storico della presenza di una struttura che, tutto sommato, si inquadrava nella logica della strategia militare del periodo.
Penso che un paese accorto rispetto alla sua storia passata ed alla necessità di rendere testimonianza delle presenze storiche che si sono sviluppate all’interno del proprio territorio, non dovrebbe chiudere nel dimenticatoio tutto ciò, ma cercare di dare visibilità e continuità storica.

Ciò che resta delle mura dell’aeroporto non è la visione di un anonimo manufatto di pietre e calce che può essere abbattuto perché non ha valore quantificabile in termini economici per poterlo tenere in piedi, ma esso è l’emblema di un periodo storico che, possa piacere o non piacere, è stato vissuto dalla popolazione locale che ha il dovere di non eliminare quello che può essere un ricordo per le giovani generazioni.

Sarebbe quindi opportuno che il comune chiedesse alla Sovrintendenza ai beni culturali un intervento di salvaguardia, di mantenimento della struttura e, perché no, anche di valorizzazione.

Pippo Bufardeci

Testo dell'articolo pubblicato sulla rivista TALE' in questi giorni in edicola )

Nella foto l'aeroporto di Pachino con aerei veri e sullo sfondo l'istituto delle scuole elementari - scuoli viecci -.

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