Cinquant’anni fa i Padri Canossiani arrivarono come un ciclone ed, in breve tempo, avvolsero tutta Pachino.
Avevo da poco superato i sette anni, era il 1954, quando assistetti al tripudio di folla che lungo la via Nunzio Costa accolse i primi sacerdoti, “ quelli del continente” che erano arrivati per prendere possesso della parrocchia di San Corrado alla periferia del paese,nei pressi dell’abbeveratoio, lungo la strada per Spaccaforno.
Fu un’insieme di festa, di curiosità e di fede.
Nessuno avrebbe mai pensato che assistevamo all’inizio di una grande ripresa spirituale e di un forte rapporto di stima e partecipazione fra pochi sacerdoti ed un intero paese.
I nomi di Padre Modesto Giacon, il primo allampanato parroco dalla travolgente oratoria, dalla forte cultura e dall’irresistibile carisma.
Padre Filippo Martissa, taciturno e grande organizzatore sempre disponibile ed affezionato a noi ragazzi.
Padre Lucinao, buono e sempre disponibile.
Il tuttofare Padre Tarcisio dall’aspetto burbero, ma dal cuore d’oro, che ci insegnò i giusti comportamenti per essere dei bravi chierichetti e ci faceva provare il piacere di suonare le campane anche se ci arrossivano le mani nel tirare le lunghe funi.
In un Paese provato dalla miseria , dal faticoso lavoro dei campi, dall’analfabetismo e da una accentuata visione egoistica della vita, i padri Canossiani non aspettarono il proprio gregge, ma lo andarono a cercare.
Portarono la chiesa fra la gente anche più riottosa e ribelle che, alla fine, dovette cedere.
La mattina, quando ancora non si vedeva la luce dell’alba e la sera tardi quando i contadini partivano o ritornavano dai campi, si fermavano a parlare con loro della famiglia, del raccolto, della salute, instaurando un personale rapporto comunicativo che li portò ad essere considerati degni di rispetto.
Era anche un periodo di forte contrapposizione politica e, soprattutto la parte del paese di competenza della parrocchia di San Corrado pullulava, di militanti comunisti e di atei.
Questi sacerdoti, senza mai fare politica, seppero andare di casa in casa per capire i bisogni della gente, per offrire i servizi parrocchiali a tutti, per cercare di allontanare i bambini dalla strada e condurli dentro l’oratorio.
Al loro carisma si arrese anche la povera, proletaria, rissosa e comunistissima strada del Basalato.
I ragazzi frequentavamo a flotte l’oratorio parrocchiale ove apprendevamo i giuochi di società, le partite al bigliardino,le ottime letture dei giornalini, “Il Corriere dei Piccoli” ed “Il Vittorioso”, in particolare ed iniziavamo il nostro cammino di fede ed il primo impegno sociale.
Siamo passati dalla legge della sopraffazione della strada al confronto ed alla emulazione dell’oratorio.
I nostri premi erano un bicchiere di latta pieno di ghiaccio tritato con l’aggiunta di sciroppo di menta o di ciliegia oppure, nelle occasioni più significative, la partecipazione al pranzo con i sacerdoti della parrocchia davanti ad un bel piatto di pasta asciutta o la mangiata serale delle castagne.
L’aspetto ricreativo, propedeutico al percorso di fede, era molto importante nell’offerta formativa dei canossiani.
Con loro si diede vita ad un campo di calcio ed a tornei fra ragazzi con i preti che facevano gli arbitri, ma spesso anche i giocatori.
Si incominciarono le prime gite parrocchiali che, sopratutto per le famiglie, si concludevano spesso a Noto, presso l’eremo di “San Corrado di fuori “o nella chiesa della Madonna Scala che venivano immortalate dalle prime macchine fotografiche munite di autoscatto..
Lasciati i vecchi pulman lungo la strada provinciale ci recavamo a piedi nella vallata ove bivaccavamo fra la rigogliosa vegetazione solcata da un fiumiciattolo.
Visitavamo anche le grotte dove, secondo la tradizione, l’eremita Corrado aveva ricevuto i banditi che l’avevano costretto ad allargare la grotta con la forza delle spalle, o le piccole grotte nella parte alta del costone dove egli abitava, così come ci inginocchiavamo ai piedi della grata che, all’interno del Santuario, delimitava lo spazio ove erano visibili le impronte delle ginocchia del Santo lasciate sul terreno dopo le lunghe preghiere.
Con le gite dei Canossiani, guidati da padre Giorgio, i ragazzi allora lupetti o esploratori, scoprimmo il nostro territorio.
Conoscemmo e visitammo la grotta preistorica di Calafarina con le sue stalattiti ed i suoi cunicoli abitati dai pipistrelli, la grotta dei “Quarrugghi” e le piccole grotte della necropoli del “ Cavittuni “.
Ricordo ancora l’odore che emanava la terra di quelle zone colpita da una fitta pioggerella durante una nostra visita in bici bruscamente interrotta dalle cattive condizioni atmosferiche.
Allo stesso modo una passeggiata di pochi chilometri in bicicletta si trasformò in un viaggio fino al Convento dei frati cappuccini di Ispica situato sul poco accessibile costone roccioso che domina il panorama fino al mare della Marza e di Pachino.
Per la prima volta apprezzai, senza mai più dimenticarlo, il sapore di una tazza di pasta con broccoletti che i frati cappuccini ci offrirono per alleviare la nostra fame e la nostra stanchezza.
Ma la gioia di vivere queste esperienze con i canossiani superava ogni nostra spossatezza.
A Pachino i contadini facevano a gara nel regalare alla parrocchia i frutti della loro terra così come gli artigiani si offrivano per prestare gratuitamente i loro servigi per organizzare l’oratorio, sistemare a campo sportivo l’attiguo terreno o a realizzare i giuochi per i ragazzi.
Fu tutto un fiorire di chierichetti, di lupetti, di esploratori, di coccinelle e di guide e molti fedeli giunsero anche dalle altre parrocchie.
Il vecchio scantinato non bastò più per la celebrazione delle messe e si pensò alla nuova attigua chiesa.
Nel periodo di maggiore intensità liturgica, quale il Natale e la Pasqua, molte volte padre Modesto fu chiamato, anche a furor di popolo, a predicare, per tutte le parrocchie, presso la Chiesa Madre.
Arrivarono anche le suore canossiane che ci aiutavano nel catechismo e ci vigilavano nel corso della messa domenicale dedicata solo ai ragazzi o nei lunghi incontri pomeridiani del catechismo che padre Modesto trasformava in una rappresentazione teatrale raccontando la vita dei Santi, degli apostoli e le parabole di Gesù con una tale passione che ci coinvolgeva interamente.
Grande fu il dolore quando, per le regole dell’Ordine, i primi sacerdoti furono destinati ad altri luoghi e dovettero lasciare la parrocchia così come nel tempo toccò a tutti gli altri, ma anche grande la gioia nel sapere che, dopo alcuni anni, il nostro parroco era diventato il padre Generale della congregazione canossiana.
Gli altri sacerdoti hanno continuato e continuano ad operare nello spirito di Santa Maria Maddalena di Canossa ed i giovani continuano a frequentare l’oratorio e la parrocchia di San Corrado.
Spero che possano trarre, a distanza di cinquant’anni, gli stessi frutti che la nostra generazione ha avuto dal momento pionieristico della presenza canossiana a Pachino e, assieme all’intero paese, possano come noi ringraziarli per sempre per quello che ci hanno dato e ci hanno insegnato.
( Questo articolo è stato pubblicato sul numero di ottobre della rivista ARCHE' )
Avevo da poco superato i sette anni, era il 1954, quando assistetti al tripudio di folla che lungo la via Nunzio Costa accolse i primi sacerdoti, “ quelli del continente” che erano arrivati per prendere possesso della parrocchia di San Corrado alla periferia del paese,nei pressi dell’abbeveratoio, lungo la strada per Spaccaforno.
Fu un’insieme di festa, di curiosità e di fede.
Nessuno avrebbe mai pensato che assistevamo all’inizio di una grande ripresa spirituale e di un forte rapporto di stima e partecipazione fra pochi sacerdoti ed un intero paese.
I nomi di Padre Modesto Giacon, il primo allampanato parroco dalla travolgente oratoria, dalla forte cultura e dall’irresistibile carisma.
Padre Filippo Martissa, taciturno e grande organizzatore sempre disponibile ed affezionato a noi ragazzi.
Padre Lucinao, buono e sempre disponibile.
Il tuttofare Padre Tarcisio dall’aspetto burbero, ma dal cuore d’oro, che ci insegnò i giusti comportamenti per essere dei bravi chierichetti e ci faceva provare il piacere di suonare le campane anche se ci arrossivano le mani nel tirare le lunghe funi.
In un Paese provato dalla miseria , dal faticoso lavoro dei campi, dall’analfabetismo e da una accentuata visione egoistica della vita, i padri Canossiani non aspettarono il proprio gregge, ma lo andarono a cercare.
Portarono la chiesa fra la gente anche più riottosa e ribelle che, alla fine, dovette cedere.
La mattina, quando ancora non si vedeva la luce dell’alba e la sera tardi quando i contadini partivano o ritornavano dai campi, si fermavano a parlare con loro della famiglia, del raccolto, della salute, instaurando un personale rapporto comunicativo che li portò ad essere considerati degni di rispetto.
Era anche un periodo di forte contrapposizione politica e, soprattutto la parte del paese di competenza della parrocchia di San Corrado pullulava, di militanti comunisti e di atei.
Questi sacerdoti, senza mai fare politica, seppero andare di casa in casa per capire i bisogni della gente, per offrire i servizi parrocchiali a tutti, per cercare di allontanare i bambini dalla strada e condurli dentro l’oratorio.
Al loro carisma si arrese anche la povera, proletaria, rissosa e comunistissima strada del Basalato.
I ragazzi frequentavamo a flotte l’oratorio parrocchiale ove apprendevamo i giuochi di società, le partite al bigliardino,le ottime letture dei giornalini, “Il Corriere dei Piccoli” ed “Il Vittorioso”, in particolare ed iniziavamo il nostro cammino di fede ed il primo impegno sociale.
Siamo passati dalla legge della sopraffazione della strada al confronto ed alla emulazione dell’oratorio.
I nostri premi erano un bicchiere di latta pieno di ghiaccio tritato con l’aggiunta di sciroppo di menta o di ciliegia oppure, nelle occasioni più significative, la partecipazione al pranzo con i sacerdoti della parrocchia davanti ad un bel piatto di pasta asciutta o la mangiata serale delle castagne.
L’aspetto ricreativo, propedeutico al percorso di fede, era molto importante nell’offerta formativa dei canossiani.
Con loro si diede vita ad un campo di calcio ed a tornei fra ragazzi con i preti che facevano gli arbitri, ma spesso anche i giocatori.
Si incominciarono le prime gite parrocchiali che, sopratutto per le famiglie, si concludevano spesso a Noto, presso l’eremo di “San Corrado di fuori “o nella chiesa della Madonna Scala che venivano immortalate dalle prime macchine fotografiche munite di autoscatto..
Lasciati i vecchi pulman lungo la strada provinciale ci recavamo a piedi nella vallata ove bivaccavamo fra la rigogliosa vegetazione solcata da un fiumiciattolo.
Visitavamo anche le grotte dove, secondo la tradizione, l’eremita Corrado aveva ricevuto i banditi che l’avevano costretto ad allargare la grotta con la forza delle spalle, o le piccole grotte nella parte alta del costone dove egli abitava, così come ci inginocchiavamo ai piedi della grata che, all’interno del Santuario, delimitava lo spazio ove erano visibili le impronte delle ginocchia del Santo lasciate sul terreno dopo le lunghe preghiere.
Con le gite dei Canossiani, guidati da padre Giorgio, i ragazzi allora lupetti o esploratori, scoprimmo il nostro territorio.
Conoscemmo e visitammo la grotta preistorica di Calafarina con le sue stalattiti ed i suoi cunicoli abitati dai pipistrelli, la grotta dei “Quarrugghi” e le piccole grotte della necropoli del “ Cavittuni “.
Ricordo ancora l’odore che emanava la terra di quelle zone colpita da una fitta pioggerella durante una nostra visita in bici bruscamente interrotta dalle cattive condizioni atmosferiche.
Allo stesso modo una passeggiata di pochi chilometri in bicicletta si trasformò in un viaggio fino al Convento dei frati cappuccini di Ispica situato sul poco accessibile costone roccioso che domina il panorama fino al mare della Marza e di Pachino.
Per la prima volta apprezzai, senza mai più dimenticarlo, il sapore di una tazza di pasta con broccoletti che i frati cappuccini ci offrirono per alleviare la nostra fame e la nostra stanchezza.
Ma la gioia di vivere queste esperienze con i canossiani superava ogni nostra spossatezza.
A Pachino i contadini facevano a gara nel regalare alla parrocchia i frutti della loro terra così come gli artigiani si offrivano per prestare gratuitamente i loro servigi per organizzare l’oratorio, sistemare a campo sportivo l’attiguo terreno o a realizzare i giuochi per i ragazzi.
Fu tutto un fiorire di chierichetti, di lupetti, di esploratori, di coccinelle e di guide e molti fedeli giunsero anche dalle altre parrocchie.
Il vecchio scantinato non bastò più per la celebrazione delle messe e si pensò alla nuova attigua chiesa.
Nel periodo di maggiore intensità liturgica, quale il Natale e la Pasqua, molte volte padre Modesto fu chiamato, anche a furor di popolo, a predicare, per tutte le parrocchie, presso la Chiesa Madre.
Arrivarono anche le suore canossiane che ci aiutavano nel catechismo e ci vigilavano nel corso della messa domenicale dedicata solo ai ragazzi o nei lunghi incontri pomeridiani del catechismo che padre Modesto trasformava in una rappresentazione teatrale raccontando la vita dei Santi, degli apostoli e le parabole di Gesù con una tale passione che ci coinvolgeva interamente.
Grande fu il dolore quando, per le regole dell’Ordine, i primi sacerdoti furono destinati ad altri luoghi e dovettero lasciare la parrocchia così come nel tempo toccò a tutti gli altri, ma anche grande la gioia nel sapere che, dopo alcuni anni, il nostro parroco era diventato il padre Generale della congregazione canossiana.
Gli altri sacerdoti hanno continuato e continuano ad operare nello spirito di Santa Maria Maddalena di Canossa ed i giovani continuano a frequentare l’oratorio e la parrocchia di San Corrado.
Spero che possano trarre, a distanza di cinquant’anni, gli stessi frutti che la nostra generazione ha avuto dal momento pionieristico della presenza canossiana a Pachino e, assieme all’intero paese, possano come noi ringraziarli per sempre per quello che ci hanno dato e ci hanno insegnato.
( Questo articolo è stato pubblicato sul numero di ottobre della rivista ARCHE' )
Ancora una volta, leggendo un tuo scritto, non posso far altro che complimentarmi con te Pippo! Hai la capacità di far rivivere i momenti da te vissuti in chi legge il tuo racconto...si sente quasi il vociare di quei bambini, l'odore della terra bagnata e delle caldarroste, si riescono a vedere i sacerdoti mentre parlano con i pachinesi della basalata...e anche chi non ha vissuto quegli anni, prova un senso di nostalgia...grazie!
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